Il camoscio appenninico è a rischio estinzione nei prossimi 50 anni. A rivelarlo uno studio dell’Università di Siena che anticipa una forte diminuzione della presenza dell’animale entro il 2070, a causa del cambiamento climatico. Il lavoro, dal titolo “Climatic changes and the fate of mountain herbivores”, è stato pubblicato su “Climatic Change” da Sandro Lovari, Sara Franceschi, Lorenzo Fattorini, Niccolò Fattorini e Francesco Ferretti dell’Università di Siena e da Gianpasquale Chiatante dell’Università di Pavia.
Vegetazione si sposta a quote più alte «Le montagne sono habitat fortemente stagionali, che richiedono adattamenti speciali per gli animali selvatici che vi abitano – spiegano i ricercatori dell’Università di Siena – . La dinamica della popolazione degli erbivori di montagna è in gran parte determinata dalla disponibilità di ricche risorse alimentari per sostenere l’allattamento e lo svezzamento durante l’estate. L’aumento della temperatura influisce sulla stagionalità e sulla locale qualità nutrizionale delle piante: le specie vegetali adattate a un persistente manto nevoso e che attualmente vivono a quote inferiori sono destinate a spostarsi verso quote più alte, ove queste siano disponibili». Sulla base di quanto avvenuto nel corso degli ultimi decenni, dall’inizio del cambio climatico a oggi, il team di ricercatori suggerisce cosa potrà avvenire alle popolazioni di ungulati di montagna sulla base di quanto i cambiamenti climatici avranno alterato la distribuzione e la qualità della vegetazione di alta quota.
Mortalità invernale dei piccoli dal 28 al 95% Dagli anni Settanta l’aumento delle temperature primaverili (ben 2°C) nell’area di studio, nel cuore dell’areale storico del camoscio nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ha anticipato di quasi un mese l’inizio della stagione vegetativa nelle praterie d’altitudine più basse, comprese tra 1700 e 2000 metri, e fortemente ridotto la vegetazione pascolabile dal camoscio, influenzando negativamente la sopravvivenza invernale dei piccoli. La compresenza del cervo, ecologicamente competitivo nei confronti del camoscio, e la ricolonizzazione boschiva delle praterie contribuiscono a impoverire ulteriormente le risorse già messe a rischio dal cambio climatico. «Sulla base delle nostre simulazioni sulle temperature primaverili future e sulla presenza di adeguate risorse alimentari – proseguono i ricercatori – si può prevedere una mortalità invernale dei piccoli di camoscio dal 28 al 95% fino, quindi, alla quasi estinzione entro il 2070 nel nucleo del suo areale storico nel Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise. Appare molto probabile che, se il cambio climatico continuerà, lo stesso fenomeno potrà colpire anche altre aree appenniniche dove questi erbivori sono oggi presenti, mettendo nuovamente a serio rischio la sopravvivenza globale di questi camosci, che l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura considera già come a rischio di potenziale estinzione. Fra l’altro – concludono i ricercatori – , il camoscio appenninico è affetto da una variabilità genetica molto ridotta, forse determinata in passato da lunghi periodi vissuti a basso numero, che può renderlo ancor meno capace di reagire a rapidi cambiamenti ambientali rispetto ad altre specie di erbivori di montagna».