marco-bentivogli«La situazione in Toscana del manifatturiero e del settore industriale è simile a quella di tutta Italia: ci sono alcune parti del metalmeccanico che stanno ripartendo, non solo quelle collegate all’export ma anche quelle collegate al mercato interno, e c’è invece un’altra parte di aziende che continua a soffrire in maniera pesante, quasi a voler far sembrare questa crisi un fatto strutturale e contingente. Quindi è molto importante il ruolo del sindacato e delle istituzioni in questa fase per cercare di creare tutte le condizioni affinché ci sia una possibilità di consolidare questa ripresa e farla diventare più diffusa, altrimenti i dati di crescita occupazionale che si attendono tanto non arriveranno». Lo ha detto il segretario generale Fim nazionale Marco Bentivogli a margine di una riunione del consiglio generale della Fim-Cisl Toscana svoltasi questa mattina a Firenze.

 

I dati occupazionali fatti emergere nelle ultime settimane dal governo secondo lei sono solo strumentali per parlare bene della riforma del Jobs act o ci vede anche qualcosa di strutturalmente positivo?

«Ci sono due aspetti: il primo è un utilizzo molto conveniente del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti come trasformazione dei contratti atipici esistenti. Ci tengo però a ricordare che per noi questo è un risultato. Sicuramente un contratto a termine o interinale sono molto più fragili di un contratto a tempo indeterminato. Per fortuna accanto a questo c’è il settore dell’auto, ci sono i settori collegati alle esportazioni che invece stanno iniziando a fare vere e proprie politiche di assunzioni con costi dei lavori nuovi. Questi sono aspetti positivi. Ovviamente bisogna domandarsi dove invece gli investimenti non stanno ripartendo, quali sono le cause. Noi pensiamo che il sindacato non è soltanto un soggetto di denuncia ma deve costruire anche insieme agli altri attori del territorio perché l’Italia non debba più essere un paese da cui scappare ma un paese dove tornare ad investire. Abbiamo l’energia coi costi più alti d’Europa, abbiamo consorzi di materie prime che mancano, le banche sono molto generose quando accolgono i soldi dalla Bce ma molto avide con imprese e famiglie e abbiamo la burocrazia peggiore d’Europa, con la corruzione e l’evasione che al top del nostro continente».

 

È una sensazione solo della gente o ce l’ha anche lei come esponente cardine di un sindacato che proprio le organizzazioni sindacali italiane abbiano perso quella volontà di fare fronte comune ed essere unite nelle proprie battaglie, che ha portato Cgil, Cisl e Uil a veder svilito il proprio ruolo di fronte compatto sindacale?

«Non c’è unità sindacale, c’è un problema di personalismi, soprattutto c’è un pezzo del sindacato che ha scelto una deriva politica che è una grossa mina alla compattezza dei sindacati stessi. Questa scelta che ha fatto la Fiom della Coalizione Sociale è una delle cause principali che porterà a fare piattaforme diverse e far perdurare la spaccatura sindacale che dura da 14 anni. Il sindacato che vuole fare come noi sindacato al 100% ha le braccia aperte nei confronti di qualsiasi altro soggetto sindacale che ha idee simili, non creeremo mai coalizioni che hanno come scopo apprendistato pre elettorale. Per noi il valore di autonomia dalla politica è uno dei valori più moderni del mondo sindacale».

 

Se lei dovesse mandare un sms al premier Matteo Renzi, quali richieste sindacali farebbe e vorrebbe che fossero esaudite in maniera prioritaria?

«Ci sono strumenti che abbiamo discusso da anni al ministero dello sviluppo economico: abbassare i costi dell’energia, i consorzi per le materie prime, fare manovre sugli istituti di credito, non solo sulle popolari ma anche sulle grandi banche che in questo momento ricevono soldi dalla Bce all’1% e poi li ridanno ai cittadini al 4%-8%, snellire la burocrazia, digitalizzare questo paese. Siamo in attesa da anni del decreto sulla banda larga e alla fine hanno appena deciso che non faranno il decreto e attenderanno un provvedimento del Cipe che arriverà solo il prossimo autunno. Senza un paese digitalizzato e cablato il settore manifatturiero nel 2020 scomparirà in Italia».