Le fiction che sfarfallano dentro le nostre serate televisive hanno discendenze antiche e di gran lignaggio. Una storia su tutte, quella di Pia de’ Tolomei. Leggenda medievale dai drammatici accenti che intreccia sapientemente giallo e mélo, costruita sui pochi (anche se intensi) versi con cui Dante chiude il canto quinto del Purgatorio: “Ricorditi di me che son la Pia. / Siena mi fe’, disfecemi Maremma: / salsi colui ch’inanellata pria, / disposando, m’avea con la sua gemma”.
Racconto che, dall’Evo di mezzo, sedimentò fino a riaffiorare, vibrante, nell’Ottocento. Quella storia romantica di vita, d’amore e di morte era, infatti, perfetta per lo spirito dell’epoca. Vi erano tutti gli ingredienti: il tormento, l’ineluttabilità del destino, la sensualità, lo strazio della lontananza e dell’assenza.
Ma non solo. La vicenda di Pia andava a sovrapporsi ad un’altra narrazione mitica: la Maremma, pelago malsano e destino di morte per chi vi abitava o vi andava a lavorare. Non sarà un caso se il ventenne granduca di Toscana, Leopoldo II, farà dipingere nelle sue stanze del palazzo senese situato in piazza del Duomo, proprio un ciclo di affreschi raffiguranti la Istoria della Pia. Omaggio alla leggenda di Pia de’ Tolomei, ma anche dichiarata premura verso la Maremma che con lui vedrà veramente una rinascita. E’ persino commovente leggere, in proposito, quanto ebbe a scrivere lo stesso Leopoldo alla morte della sua giovane moglie: “raccolto l’ultimo respiro della buona sposa, corsi in Maremma, lei piangendo che mi aveva lasciato, e Maremma desolata e piena di lutto come il cuor mio”.
Gli affreschi dell’anticamera granducale raccontano la storia di Pia seguendo il filo narrativo della “novella in versi” (1822) di Benedetto Sestini, fondamentale testo per comprendere il mito ottocentesco della Pia. Seguirà poi la tragedia di Carlo Marenco (1837), mentre in quello stesso anno Gaetano Donizetti, su libretto di Michele Cammarano (sempre desunto dal poemetto del Sestini), compone un’opera musicale. Fu ghiotta trama anche per un romanzo pubblicato nel 1879 da Carolina Invernizio, popolare autrice di romanzi d’appendice. E nemmeno il cinema del Novecento si lasciò sfuggire il drammone di Pia con i film di Gerolamo Lo Savio (1910), Esodo Pratelli (1941), Sergio Grieco (1958). Negli anni Trenta sarà Marguerite Yourcenar a rappresentarne la storia nell’atto unico Il dialogo della palude. Vi si immagina l’ultimo incontro tra Nello e Pia, ormai resa demente dalla prolungata reclusione. Un Nello pentito e introspettivo che giunge a chiedere perdono fuori tempo massimo. Le vicissitudini della nobildonna senese saliranno inaspettatamente anche sul proscenio del nuovo millennio con il musical che a lei dedicò nel 2010 Gianna Nannini. La rockstar già nel 2007 aveva anticipato il suo racconto musicale nel disco Pia come la canto io, graffiando con la voce parole che dicevano “dolente Pia innocente è prigioniera”.
E provatevi a dire che Pia non è mai esistita.