C’è un libro, denso di mestizia, intitolato Messaggi di pietra. Immagini della Resistenza senese (ISRS – Nuova Immagine Editrice, 1992) che documenta tutti i cippi, le lapidi, i monumenti e le tombe, sparsi in terra di Siena a ricordo dei caduti nella guerra di Liberazione. Dinanzi alla perentorietà di quelle immagini, poco spazio trovano i discorsi e persino la storiografia. Di drammatiche uccisioni si tratta. Oggi messaggi di pietra, appunto, su cui in ragione di una memoria e di un monito da tramandare, pietà e coscienza civile depongono fiori. Così come altri morti vengono alla mente, se pensiamo a chi, in quello stesso frangente storico, ebbe a trovarsi sull’opposto versante, ovvero dalla parte decisamente sbagliata.
Il fitto martirologio della Resistenza resta una testimonianza indelebile e commovente, e non meraviglia che su di esso si sia costruito anche il “mito” resistenziale. La questione è stata riproposta da Sergio Luzzatto sul Domenicale del “24 Ore” di domenica scorsa a commento della ristampa del libro in cui Alcide Cervi racconta la drammatica vicenda de I miei sette figli trucidati dai fascisti. Una storia vera, “eroica e complicata” – scrive Luzzatto – che ha assunto indubbiamente una valenza “leggendaria”. Ma del resto – gli ha fatto eco il giorno dopo su Repubblica Simonetta Fiori – “esiste il mito ed esiste la storia; decostruire il mito significa restituire alla storia la sua complessità, non necessariamente rovesciare o negare i fatti storici da cui è scaturito il racconto epico”.
Da questo punto di vista sarebbe interessante una lettura della Resistenza attraverso le pagine letterarie, perché se da una parte esse hanno contribuito alla creazione di un epos, per altri versi lo hanno pure interpretato nelle sue diverse sfaccettature. Pensiamo all’approccio antiretorico di Calvino nel Sentiero dei nidi di ragno, a quello controverso di Vittorini in Uomini e no. Oppure all’immagine di un paese dilaniato quale emerge dalla Casa in collina di Pavese; all’atteggiamento “a-politico” delle pagine di Fenoglio; al rapporto tra politica e morale nella vicenda cassoliana de La ragazza di Bube; fino alla narrazione corrosiva di Luigi Meneghello nei Piccoli maestri.
Pagine scritte – ebbe a dire Calvino – “già in polemica con una memoria”, perché mancanti “di tutto ciò che lì non c’è”. Tale, infatti, è stato il racconto della Resistenza. Talvolta eccessivamente soggettivo per divenire Storia, o retorico oltremodo per essere considerato letteratura, o troppo letterario per risultare del tutto verosimile. Ma non per questo irreale.