Invasione proprio no. E non solo per una questione linguistica. Ormai da quasi un quinquennio l’immigrazione in Toscana non cresce quasi più: nel 2019 è aumentata di appena lo 0,6% passando da 419.371 a 422.098 stranieri, ma anche negli anni precedenti gli incrementi erano stati minimi (+2,2% nel 2018 e +2,0% nel 2017). Non solo. Diminuiscono i regolarmente soggiornanti non comunitari (-10,5%), i nuovi nati da coppie straniere si fermano al 4.723, il dato più basso dal 2012 e i migranti accolti nelle strutture d’accoglienza scendono a 6.141, il 34,8% in meno rispetto all’anno precedente. E anche per quanto riguarda la Toscana la principale porta d’ingresso per i pochi stranieri arrivati nel 2020 è la protezione internazionale, motivo del soggiorno per oltre i tre quarti (76,7%) degli 8.873 non comunitari giunti dall’estero nel 2020. Sono alcuni dei dati riferiti al territorio regionale raccolti e analizzati nel Dossier statistico immigrazione 2020, il rapporto arrivato alla 30esima edizione, basato su dati di fine 2019. Numeri, comunque, che confermano come la Toscana resti fra le principali regioni d’immigrazione del Paese con un’incidenza dell’11,3% sui residenti, nettamente superiore alla media nazionale (8,8%), anche se conseguenza di una distribuzione territoriale disomogenea in cui spicca il marco protagonismo dell’area fiorentino-pratese (abita qui il 43,1% di tutti gli immigrati residenti in Toscana) e con Prato che rimane la provincia con l’incidenza di cittadini stranieri più elevata d’Italia (19,4%).
Gli indicatori di radicamento E’ in questa cornice che, un anno dopo l’altro, vanno intensificandosi i processi di radicamento territoriale. Nel 2019 sono tornate a crescere le acquisizioni di cittadinanza, prevalentemente per naturalizzazione, ossia dopo almeno dieci anni di residenza ininterrotta: sono state 11.139, un quinto in più rispetto alle 9.349 del 2018. Nettamente più elevata rispetto alla media nazionale l’incidenza degli alunni stranieri: sono il 14,1% di tutta la popolazione studentesca e il 67,6% di essi è nato in Italia, quota che sale all’86,3 nelle scuole dell’Infanzia e al 79,6 nelle primarie e scende al 64,7 e al 39,6%, rispettivamente, alle medie e alle superiori.
L’occupazione Anche nel mercato del lavoro i pochi e timidi segnali di vivacità registrati nel 2019 sono collegati in larga misura alla manodopera straniera: in un anno in cui, complessivamente, il Pil regionale è cresciuto dello 0,1% e gli occupati dello 0,5, i lavori stranieri sono stati 206mila, 6.200 in più rispetto al 2018 per un incremento del 3,1%. «Questo dato ci dice che tre quarti del pur modesto aumento dell’occupazione toscana è attribuibile alla crescita dell’occupazione immigrata» scrivono al riguardo i redattori del Dossier. Resta vivace e mercata anche la propensione all’autoimprenditorialità dei migranti “toscani”: le aziende toscane gestite da cittadini nati all’estero, infatti, sono 57.843, il in aumento del 2,5% rispetto al 2018 (mentre quelle condotte da italiani sono diminuite del 2,1%) e del 15,8% negli ultimi cinque anni.
Le criticità Eppure radicamento stabile non significa automaticamente integrazione e inclusione. Alcuni dei segnali più preoccupanti continuano ad arrivare proprio dal mondo del lavoro: il tasso di disoccupazione, infatti, fra gli stranieri è del 14%, più del doppio rispetto a quello dei cittadini italiani (5,6%) e gli occupati continuano a trovare lavoro soprattutto nei settori caratterizzati da condizioni di lavoro meno appetibili. Emblematico, al riguardo, il caso del lavoro domestico in cui risultano impiegati circa 48mila lavoratori immigrati e 16mila italiani. Le conseguenze si vedono anche nelle retribuzioni: lo stipendio mensile dei lavoratori stranieri, infatti, è in media di 1.078 euro, trecento in meno rispetto a quello degli italiani.
L’emergenza Covid-19 Il tutto in attesa di valutazione attendibile dell’impatto dell’emergenza Covid-19 sulle condizioni sociali ed economiche dei migranti toscani. «Gli effetti concreti potranno essere misurati con maggiore precisione il prossimo anno, quando si avranno a disposizione i dati riferiti al 2020 – si legge nel Rapporto – ma le prime stime sono preoccupanti: i lavoratori occupati in settori non essenziali, più a rischio di riduzione del reddito, saranno con più probabilità giovani (il 43% degli occupati under 35), con la sola scuola dell’obbligo (42%) e stranieri (43%)»