E’ attorno ad una pipa che è stato prodotto uno dei discorsi più cervellotici che si potessero fare in tema di linguaggio, arti visive, segni, realtà e sue rappresentazioni. Stiamo parlando del celebre quadro di Magritte dove è raffigurata una bellissima pipa, talmente vera che verrebbe da prenderla e caricarla subito di tabacco se non fosse per la spiazzante didascalia posta dall’artista che ammonisce: “ceci n’est pas une pipe”. Perché secondo il pittore, grande protagonista del surrealismo, occorre distinguere tra il mondo dei segni e quello reale, nel senso che l’uno non arriverà mai ad eguagliare, in tangibilità e consistenza, l’altro. Sarà lo stesso Magritte a dire: «La famosa pipa…? Sono stato rimproverato abbastanza in merito. Tuttavia la si può riempire? No, non è vero, è solo una rappresentazione: se avessi scritto sotto il mio quadro: “Questa è una pipa”, avrei mentito». Il messaggio di Magritte è apparentemente ovvio: rappresentazione non significa realtà, l’immagine di un oggetto non è l’oggetto stesso. La pipa del quadro non si può fumare, così come la frutta delle nature morte non si può addentare.
Diciamo pure che Magritte aveva la fissa degli oggetti e dei nomi. E fitto fu il carteggio con il filosofo Michel Foucault per discettare, appunto, su “Le mots et le choses”, ovvero sulle definizioni di somiglianza, similitudine, realtà, e su quel gioco di riflessi e opposti in cui si alternano l’invisibile e il pensiero visibile.
Il rebus della pipa fu un invito a nozze per Foucault, il quale vi dedicò giusto un saggio prendendo a titolo quella stessa didascalia (“ceci n’est pas une pipe”) che, a detta del filosofo francese, era doppiamente paradossale, poiché «Si propone di nominare ciò che, evidentemente, non ha bisogno di esserlo (la forma è troppo nota, il nome troppo familiare). Ed ecco che nel momento in cui dovrebbe dare un nome, lo dà negando che sia tale».
Il dibattito non era comunque nuovo. Già Ferdinand de Saussure, fondatore della linguistica moderna, aveva affrontato il tema della frattura tra segni e mondo reale; della scissione, della non- coincidenza tra linguaggio e realtà. Quindi della similitudine, della tangibilità, dell’invisibile e di come tutto ciò vada a generare in noi una sorta di dissociazione e insinui il dubbio di quanto arbitrario sia il nostro modo di percepire e “vedere” le cose.
Fermiamoci comunque qui. Accendiamo una pipa che sia una pipa e guardiamo le cose che ci stanno intorno: vere o similitudini di qualcos’altro? Caspita…, stai a vedere che si è spenta la pipa.