SIENA – Ogni settimana Sigfrido Ranucci, mente del programma televisivo Report, scava oltre la notizia per portare a galla narrazione nascoste.
Un mestiere scomodo e sempre meno in voga quello di giornalista d’inchiesta. Che nel suo caso lo ha costretto a vivere sotto scorta. Senza però perdere la volontà di andare oltre. Come fatto per la trattativa Stato-mafia, ripercorsa con un focus su Luigi Ilardo e al centro del suo intervento nell’ambito del ciclo di incontri “Pagine di legalità”, in programma oggi pomeriggio al Teatro dei Rozzi.
Recentemente ha detto che fa una vita complicata ma si sente un privilegiato. Con il nuovo governo è più complicato fare il suo lavoro?
“No, il governo a me non ha cambiato nulla. Diciamo che le dimensioni dei cambiamenti della Rai hanno portato una scombussolamento all’interno di Report, ma non dal punto di vista della qualità, né della libertà. Continuo a essere libero. Fino a oggi”.
178 querele. Si sente un perseguitato?
“No, continuo a pensare che la giustizia sia necessaria e sia necessaria anche il ruolo della magistratura. Potrei dire tranquillamente che sono più indagato di Silvio Berlusconi o di qualche altro politico che si lamenta di come funziona la giustizia. Non lo dico. C’è un però”.
Dica.
“Mi preoccupano molto le leggi che stanno per essere approvate in materia di libertà di stampa. Sto pensando ai decreti Costa, che riguarderanno la possibilità di dare informazioni sugli arresti, sulle persone coinvolte nelle inchieste. Sto pensando nel 2025, se non verrà abrogata, entrerà in vigore la riforma Cartabia per quanto riguarda l’improcedibilità dei processi. Sul fatto che non si possono dare informazioni sugli imputati ai processi se questi non lo vorranno. C’è la possibilità di renderli completamente anonimi, così come la tipologia di reato che viene loro attribuito. Tutto ciò è un processo gravissimo che potrebbe portare alla desertificazione dell’informazione. Una sorta di oblio di stato”.
Nel libro “La scelta” racconta il suo lavoro e dà spazio alla squadra che la circonda. Conferma che da soli non si va da nessuna parte?
“E’ così. E’ stata l’opportunità di svelare i retroscena di alcune inchieste e dare risalto a persone che sono rimasti fino a oggi nell’ombra, ma che hanno avuto un ruolo fondamentale. Il libro è anche un modo per saldare un debito con il mio pubblico. Ho potuto farmi conoscere maggiormente, legando la mia caratterizzazione con ciò che faccio”.
Come sta la stampa italiana?
“Credo che sia ricca di talenti. I giornalisti dovrebbero sentirsi più liberi e anche più indipendenti dal proprio editore. C’è la possibilità di farlo. Io mi sento un giornalista libero all’interno della Rai. Invito i giornalisti Rai e anche chi non appartiene alla televisione di Stato di onorare il proprio mestiere, perché è uno dei più belli del mondo”.
Da una parte la morte di Navalny, dall’altra la richiesta di estradizione di Assange. Quanto è difficile oggi fare giornalismo di inchiesta?
“Il quadro della libertà non è il massimo. Mancano dei leader che possono difendere dei valori come libertà, uguaglianza e pace. Credo però che in un mondo dove non c’è libertà di stampa, non ci può essere democrazia. E’ come mandare in giro una macchina senza il certificato di garanzia”.
A Siena parlerà della trattativa Stato-mafia. A più di 30 anni di distanza cosa ci racconta questa vicenda?
“Va detto che nonostante ci siano delle sentenze di assoluzione, confermate anche in Cassazione, nessuna di queste ha mai messo in dubbio i fatti raccontati all’interno di queste sentenze. Questo significa che sono fatti veri. Dopo di che c’è un giudizio storico e uno giudiziario. Gli elementi del giudizio storico sono sufficienti per farci capire che questo Stato ancora non è pronto per processare sé stesso”.
Nel libro che riguarda questo fatto, lei si concentra sulla storia di Luigi Ilardo. Un personaggio pressochè unico.
“Ilardo è stato un infiltrato che non ha fatto in tempo a diventare un collaboratore di giustizia, perché è stato ucciso non appena ha manifestato la volontà di collaborare con lo Stato. Sarebbe stato un testimone incredibile, secondo forse solo a Tommaso Buscetta come importanza. Già nel 1994 aveva raccontato chi c’era dietro le stragi. Un consorzio tra massoneria deviata, servizi segreti ed eversione di destra. Un corpo che si è mosso all’unisono nel momento in cui era più in difficoltà, nel momento in cui c’erano da cambiare le sorti politiche di questo Paese, nel momento in cui c’erano da eliminare i nemici di questo Paese, che erano magistrati, poliziotti, politici e così via”.
In merito a Siena, lei si è occupato anche del caso David Rossi. La novità è un killer che afferma di averlo ucciso. Dopo 11 anni questa vicenda è ancora ricca di ombre. Quindi?
“E’ l’ennesimo mistero che si aggiunge ai tanti altri che contraddistinguono l’Italia”.