Se già il 10 giugno faceva quel caldo, chissà quali bollori avrebbe dispensato l’estate romana. Il cielo stipava l’afa sopra i tetti, le cornacchie parevano più disperate del solito. A piazza Venezia un’enorme bolla di scirocco impiombava la moltitudine degli astanti, i fiati, le braccia protese, i boati che si alzavano ogni qualvolta la mascella del duce riposava in studiate pause. «Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria … L’ora delle decisioni irrevocabili». La radio riecheggiava il delirio per le strade, negli androni, sul trasudato barocco dei marmi. Ma in un vicolo dietro San Lorenzo altre erano le urla che arrivavano dalla casupola di Pietrino Antonucci dove la moglie Mara partoriva con difficoltà. «Popolo italiano! Corri alle armi … dimostra il tuo coraggio!»». Mara gridò, spinse che più non avrebbe potuto. E sul fragore di piazza Venezia – «Guerra! Guerra!» – prevalse finalmente il pianto di Flavietto. Nome imposto a tenera memoria del nonno paterno, morto troppo giovane di tbc, e da cui Pietrino aveva ereditato le spalle strette, una leggera balbuzie e il banchetto dei fiori al cimitero del Verano.
Una mattina di tre anni dopo, il 19 luglio 1943, a Roma l’estate esaltava se stessa in ogni anfratto (le stagioni prescindono dagli umori del genere umano). Pietrino, fuori dal Verano, sceglieva garofani per la signora Tomei, inconsolabile vedova e cliente affezionata che ogni lunedì visitava la tomba del marito per provare a risolvere il senso di colpa che strugge i vivi quando pensano ai morti. Sono le 11, e come accade per gli eventi eccezionali è nella apparente normalità che essi irrompono. A seimila metri di altezza una formazione di aerei americani battezzati con simpatici appellativi quali Lucky Lady, Pretty Boy, Winnie Oh Oh… gorgoglia cupa dentro l’azzurro, poi un tripudio di bombe da 250 chili ciascuna comincia a piovere fitto sulla zona tra San Lorenzo e il Verano. Pietrino prende a correre verso casa. Ovunque fumo, polvere, fiamme. Inciampa, cade. A un ennesimo schianto gli crolla addosso un muro. Ne resterà imprigionato per oltre un’ora. La gamba va amputata – saprà all’ospedale dal fratello Romano, il quale non trova come confessargli che Mara e il bambino sono restati sotto le bombe.
«Ma la vita continua…”, baderà a dire Pietrino per giorni e giorni, mentre recide garofani e buon senso alla vedova Tomei. Sino a quando, in forza dei reciproci sospiri, i due convennero di farsi sposi di seconda scelta. Così…, naturalmente…, con l’imbarazzata allegria dei sopravvissuti. Ché tali sono i viventi, comunque scampati alle guerre dell’esistere.