“Incredibile – pensò Giulia – tu guarda dove era andato a infilarsi quel libro comprato anni fa e nemmeno sfogliato. Proprio lì, dietro l’armadio, così prossimo ma nell’oblio”. Lo aveva acquistato che frequentava ancora il liceo, ad una di quelle Fiere del Libro a cui vanno intere scolaresche. Nitido era il ricordo della circostanza. Una giornata di pioggia novembrina, gli ombrellini e gli zaini bagnati, i maschi che zompavano sulle pozzanghere perché chissenefregasepiove. L’incontro con l’autore dentro la tendostruttura, una grande bolla di caldo-umido e di odor di scuola. C’era chi sbadigliava, chi pomiciava, i più zelanti (i soliti) prendevano appunti. Il Vestri, che si alzava alle sei per prendere il treno, dormiva quieto in mezzo a un’epidemia di risolini. Fu parlato dei ‘valori che contano’. Seguirono le domande dei ragazzi, troppo impegnative per non risultare banali, mentre l’insegnante di lettere – make up delle grandi occasioni e sciarpone d’ordinanza – guidava l’assemblea con piglio e devozione da diaconessa. Troppo facile, ora, sbrigliare la nostalgia, magari con il rischio di farsi male. Eccessiva era ormai la distanza da quegli anni, non in termini temporali, quanto piuttosto per le cose successe e, ancor di più, per la consapevolezza che maturando si acquisisce verso ciò che accade. Giulia aprì il libro, un romanzo. Ne compulsò qualche pagina. Però…, bella scrittura, essenziale, prosciugata al punto giusto, con guizzi di grande intensità. Intuì il racconto di una vicenda tormentata. Si mise comoda sul letto e prese a leggerlo dall’inizio. Pagina dopo pagina, niente di inutile sosteneva la trama. Il protagonista chiedeva di continuo la complicità del lettore, la sua compassione, una sponda da coscienza a coscienza. Impossibile negargliele, tanto erano vere le ragioni (non di meno le contraddizioni) ora sussurrate ora conclamate. Che grande libro si stava rivelando! Erano trascorse ore, fuori era già buio, dalle case vicine la romba dei Tg attestava la disperazione del mondo, un tintinnio di stoviglie lasciava immaginare cene svogliate. Giulia tirò di lunga nella lettura, anche perché si era ormai accorta di essere lei la protagonista della storia. Finalmente qualcuno che gliela raccontava giusta, chiara, senza pregiudizi. Ecco Giulia mostrata a se stessa. Provò, allora, come la percezione fisica di questo svelamento. La sensazione sottopelle di come i sentimenti universali avessero trovato in lei modo di abitarvi: con dolore, dolcezza, prepotenza, amore, tenerezza. Giunta al termine aspettò a chiudere il libro, nel caso che qualcosa fosse rimasto ancora da dire… Avvertiva sotto le dita i caratteri a rilievo del titolo che inequivocabilmente sbalzavano la scritta “Storia di Giulia”. Finché la sua mano spinse la copertina a sigillare un’intima contentezza. Quella che si prova quando conosciamo se stessi e noi nella più vasta conoscenza della vita. Inspiegabili restarono le modalità secondo cui il romanzo fosse scivolato dietro l’armadio. Risultò invece evidente cosa si possa perdere per ogni libro non letto.