A volte un’immagine racconta più di mille parole, soprattutto se è una faccia. Ieri, al cinema teatro di Serre di Rapolano, si è presentato al popolo democratico il neo candidato Pier Carlo Padoan. Dal cognome (l’accento volutamente spostato sulla prima a) non proprio un toscano, tantomeno senese. Diciamo pure un paracadutato renziano in terra di elezione “sicura”.
A fare gli onori di casa il segretario provinciale del Pd, Andrea Valenti, uno che per farsi eleggere nell’ultimo congresso durato quasi due mesi e chissà quante notti insonni, ha dovuto girare la provincia palmo a palmo, circolo dopo circolo, convincendo gli iscritti e i delegati. Uno che pensava di essere eletto per poter contare e che, invece, si è accorto di non contare quasi nulla quando è il momento delle scelte che contano. Eh già, perché se nel 2013 il Pd scelse i proprio candidati con le primarie (ricordate?) questa volta tutto è stato deciso a Roma e, a leggere le cronache politiche, nemmeno da un organismo collegiale bensì dal segretario e dal suo cerchio magico al terzo piano della segreteria nazionale.E così la faccia del povero segretario provinciale ieri diceva tutto.
Che a niente era valsa la direzione provinciale della settimana scorsa, che a niente valeva la disponibilità di Luigi Dallai a ripresentarsi per il secondo mandato (il secondo non era mai stato negato a nessuno mentre a Susanna Cenni viene offerta la terza occasione di entrare in Parlamento) e che a niente valeva il suo ruolo nemmeno nella scelta di Simone Vigni, inserito quarto nel listino proporzionale in un primo tempo e poi, il giorno dopo, misteriosamente fatto saltare per questioni di genere. Salvo poi essere sostituito da un altro compagno. Misteri democratici.
Non va meglio negli altri partiti, basti pensare al caso di Salvatore Caiata, “fuggito” da Siena pochi mesi fa e subito finito candidato penstastellato a Potenza. Luigi Di Maio di lui ha detto che “L’Italia ha bisogno di uomini come Caiata”. Pare che a Siena non l’abbiano presa benissimo.
La verità è che questa fase politica ha confermato la consapevolezza che i territori non contano nulla né tantomeno vale l’impegno profuso dai singoli per portarne in alto le istanze. Tutto è tele guidato, tele deciso, televisivo. Il Pd e gli altri partiti (nessuno escluso in verità) intendono gestire così 60 milioni di italiani.
Se una risposta può esserci a tutto questo allora è nel recupero di quell’antico civismo che caratterizzò una fase straordinaria della nostra antica storia, quell’era dei Comuni, che soprattutto da noi vide la sua alba.
L’illusione decisionista e centralista non può in alcun modo governare le complessità del mondo, considerati i magri risultati di questi 10 anni di crisi globale. Bisogna ricominciare dalla voglia di partecipazione delle persone, nonostante i partiti, per definire nuovi patti locali in grado di assicurare ad ogni città, o territorio diffuso, di trovare liberamente le azioni e gli strumenti per agire e avere rappresentanza.
Lo Stato in questi anni sta arretrando, ovunque chiudono servizi, Poste in primis ma anche Ferrovie che si occupano solo di alta velocità, strade quasi del tutto abbandonate, per non parlare della gestione del territorio. Persino i privati rinunciano a presidiare pur in assenza di concorrenza, basti pensare alle chiusure delle filiali Mps nei piccoli centri della nostra Toscana (su questo forse Padoan potrebbe dire qualcosa in campagna elettorale tra un pranzo e una stretta di mano). Mentre le stesse Regioni non sono più in grado di garantire quel sistema sanitario che sembra sempre più sull’orlo del collasso.
Occorre una rinnovata consapevolezza. Con il 4 dicembre 2016 e il forte No degli italiani ad una proposta di riforma pasticciata, che eliminava non gli sprechi ma sacche di democrazia, le questioni rimangono tutte irrisolte e rischiano di crollarci addosso.
Devono rapidamente nascere nuove politiche dal basso e gruppi dirigenti locali in grado di leggere i loro territori fino a proporre nuove ricette di sviluppo locale. Per le nostre piccoli grandi patrie non è più tempo di aspettare i “salvatori” paracadutati dall’alto. La faccia di ieri lo diceva più e meglio di queste parole.
Ah,s’io fosse fuoco