la-locandina-di-quel-pomeriggio-di-un-giorno-da-cani-122018“Quel pomeriggio di un giorno da cani” è un film del 1975, vincitore di un Oscar per la sceneggiatura, diretto da Sidney Lumet, con un giovane e straordinario Al Pacino. Racconta di due balordi, Sonny e Sal, che fanno una rapina in banca e tengono in ostaggio i dipendenti dell’istituto, mentre fuori sono circondati dalla Polizia.

“Quel pomeriggio” è andato in scena a Siena, oggi. Con un consiglio di amministrazione di banca Mps asserragliato dentro le fresche sale di Rocca Salimbeni a cercare soluzioni per uscire da un assedio che si è fatto finanziario. Mentre fuori sono attese le decisioni da una folta schiera di giornalisti giunti da tutta Italia a seguire i rantoli della banca più antica del mondo.

Mentre nessuno è in grado di dire nulla a azionisti, correntisti o dipendenti. Così come nessuno ha voluto in questi anni chiedere scusa ai senesi, ai toscani, e financo agli italiani, per aver portato in poco tenpo una banca modello com’era fino a venti anni fa alla soglia di una bad bank.

Giuseppe Mussari, che fu presidente senza conoscere l’inglese quando trattava affari con i giapponesi di Nomura né forse saper leggere i bilanci dell’azienda che guidava, che si è ritirato a fare gelati in villa per pochi amici o a portare a spasso i cavalli, né Antonio Vigni che a Castelnuovo Berardenga si è messo a produrre olio e vino e che fu direttore generale per volere dell’allora sindaco di Siena, Maurizio Cenni, con il beneplacito dei sindacati interni. Gli stessi che a Siena per decenni hanno fatto il bello e cattivo tempo, dentro e fuori la banca, tanto da esprimere nel tempo più di un Sindaco.

Né ha mai chiesto scusa Gabriello Mancini, presidente della Fondazione Mps che seguì Mussari in ogni sua decisione, senza mai contraddirlo, portando l’ente di palazzo Sansedoni ad un passo dal baratro.

Né mai hanno chiesto scusa le forze politiche che in questi quindici anni hanno scelto gli uomini per scaldare una delle «oltre 200 poltrone che ruotavano nell’ampia galassia Mps», come ha ricordato, nel marzo scorso, il sindaco Bruno Valentini, alla Commissione regionale d’inchiesta su Mps. Nessuno di quei politici e nessuno di quei duecento consiglieri di amministrazione, presidenti, vicepresidenti, ha mai chiesto scusa alla Città. Nessuno. Eppure i nomi erano, e sono, noti.

Né si è mai scusato Franco Ceccuzzi, leader indiscusso dei Ds prima e Pd poi, intorno al quale ha ruotato tutta la politica e le principali scelte sugli uomini degli ultimi 15 anni. Locali e nazionali. Di maggioranza e di opposizione (ricordate il papello con Denis Verdini? Siglato ma non firmato ben prima del Patto del Nazzareno). Anche lui si è limitato ad uscire di scena, salvo magari rientrare tra qualche tempo dalla finestra. Mentre sarebbe bene ascoltare le sue scuse con la promessa di sparire per sempre dalla vita politica e pubblica. Mentre si dice che ancora oggi sarebbe lui per conto dei suoi uomini e donne ad assicurare in Comune la maggioranza al sindaco Valentini.

E nemmeno gli “uomini d’oro” che hanno ricevuto prestiti dal Monte senza restituirli hanno chiesto scusa. Non già i poveri cristi schiacciati dalla crisi o dalla perdita del lavoro, ma quelli che protetti dall’anonimato hanno fatto valere le loro relazioni per accedere a finanziamenti che altrimenti non avrebbero avuto. E l’inchiesta di Salerno sul pastificio Amato (purtroppo ferma da pastoie procedurali) e la recente vicenda che vede coinvolto il professor Aldo Berlinguer sono appena uno squarcio di luce sulle richieste di fidi e mutui accordate da Rocca Salimbeni.

Questo pomeriggio da cani, sotto il sole cocente di luglio, in attesa di qualche notizia rassicurante che forse non arriverà, si rimane così. Con una manciata di nomi che frullano in testa e il senso di una profonda ingiustizia subìta dalla Città che ha il torto di avere dato fiducia e deleghe in bianco senza controllare, succube del fascino del potere e della relazione. Si rimane così senza nemmeno la memoria di una scusa a rincuorare l’animo. «A mia madre io chiedo perdono: per te non hanno senso le cose che ho fatto e detto, ma devi capirlo, sono diverso», conclude la sua vicenda il balordo Sonny/Al Pacino.

Noi invece si rimane sospesi in questo pomeriggio di un giorno da azionisti, obbligazionisti, correntisti, dipendenti. Da senesi.

Ah, s’io fosse fuoco