Correva – o comunque teneva il passo verso la conclusione – l’anno 2001. Garruli e contenti eravamo lì a zompare sul proscenio del terzo millennio come bambini sopra il palco della recita scolastica. Non perché la situazione fosse proprio esaltante, ma in ragione di un moderato ottimismo che quel principio di secolo trasmetteva nonostante-tutto. La corte suprema degli Stati Uniti aveva dichiarato George W. Bush vincitore delle elezioni presidenziali, una non-personalità di spicco, incerto nell’eloquio, dalle poche idee ma confuse. Il prodotto interno degli Usa veniva sorpassato di due punti da quello europeo. Si era dovuto assistere allo scempio, per mano talebana, dei Buddha giganti di Bamiyan, colpevoli di essere nati troppo prima dell’Islam. Un papa tremante, accartocciato sulla propria sofferenza aveva chiuso i battenti della Porta Santa, già santo pure lui. L’Italia era alle prese con la mucca pazza e con il secondo governo Berlusconi.
La mattina di martedì 11 settembre il bandierone stelle e strisce issato sulla Liberty Island stava facendo il suo onesto lavoro (sventolare a gloria degli stati uniti d’America), fino al fatidico momento in cui, incredulo, vide collassarsi vetri, cemento e cielo, ed egli stesso mortificato dentro un’enormità di polvere. Comincerà così il reiterato racconto per il quale ogni aggettivo parve inadeguato; ma soprattutto sembrò impraticabile qualsiasi narrazione del reale. L’atroce e spettacolare accadimento mise in crisi coscienze, certezze residue, pallide idee di futuro; ed anche la scrittura dovette fare i conti con la sua connaturale ambiguità tra verità e finzione, per ridefinire le modalità di ciò che, da allora in poi, si potesse raccontare come vero o falso o virtuale. Perché il crollo delle Torri Gemelle è un’immagine in cui il reale ha imitato il virtuale. Sappiamo bene che al cospetto dei 2753 morti del giorno in cui vedemmo le “rovine del futuro” (l’espressione è di DeLillo), dinanzi allo sconquasso provocato nel comune sentire, il problema non è certo letterario. E infatti non lo è in quanto tale, ma come specchio della nostra coscienza storica. Ininterrottamente linkati con il mondo ne abbiamo la visione in tempo reale ma non la cognizione realistica. Qualcosa del genere accadde anche l’11 settembre 2001. Pertanto all’odierno esercizio emotivo di raccontare ciò che noi stavamo facendo quando crollarono le Twin Towers, proviamo ad aggiungere una variante: a quale mondo pensavamo in quel momento. E soprattutto a quale mondo stiamo pensando ora.