Tutto in un bollente pomeriggio, poi concluso con un diluvio. Di nomine. L’ufficializzazione delle dimissioni di Alessandro Profumo dalla presidenza di Mps e subito dopo l’indicazione, da parte di Fondazione Mps e pattisti, di Massimo Tononi, presidente 50 enne di Borsa Italiana, per sostituirlo. E anche la scelta di Davide Usai come direttore generale della Fondazione, al posto di Enrico Granata. Una scelta, si fa sapere, operata secondo le indicazioni dell’agenzia specializzata Korn Ferry, che non avrà certamente mancato di indicare come un handicap, l’eventuale legame con il territorio di qualche candidato senese. Usai è direttore generale di Unicef Italia, ma certo con la Fondazione di questi tempi non c’è aria di beneficienza.
Questo venerdì a bollino rosso per il traffico di nomine a Siena, cosa ci fa capire? Che tutto questo sta a Siena come Kepler, il pianeta cugino, distante 1400 anni luce dalla Terra. Che noi senesi siamo ormai alieni dalle stanze dei bottoni della città. Costretti tutti a pagare, per una sorta di indiscriminata legge del contrappasso, gli intrallazzi che solo alcuni hanno compiuto, e le inefficienze di una intera classe dirigente indigena, scelta solo da qualcuno per manifesta fedeltà, che ha rovinato la città.
Adesso è Siena che si ritrova aliena da se stessa. Distante da quelle istituzioni, Fondazione in primis, che pure restano importanti per la ripartenza. Con il Monte ormai inserito nel tritatutto delle istituzioni europee, che non hanno esitato a dilapidare milioni e milioni di valore del titolo, semplicemente inventando apocalittici scenari surreali, per sentenziare che la banca senese aveva bisogno di altri due miliardi. Questo furono gli stress test: dalla rappresentazione di una realtà immaginaria, si passò alle conseguenze reali e pesantissime per il depauperamento del titolo e soprattutto per i piccoli azionisti.
Nel mare pieno di squali delle troike europee, e dei servi della Merkel, Profumo ha saputo navigare, come un nocchiero abituato a quei mari, adeguandosi alla rotta imposta. Ha raccolto 8 miliardi dal mercato, 4 di Monti Bond e incanalato il Monte verso la fusione. Bene, bravo, dicono osservatori interessati della realtà cittadina, come il sindaco Bruno Valentini, e soprattutto il rettore dell’Università Angelo Riccaboni. E tanti altri coristi, evidentemente grati a D’Alema, per aver fatto da sponda con Profumo, come ha raccontato Ceccuzzi in alcune interviste estive, per farlo approdare al Monte.
Profumo ha operato per risanare dalla voragine del passato, in mezzo ad assenze fondamentali: quella del Governo, in primo luogo. Lascia una banca che pare sempre più una public company, tra soci cinesi e fondi americani, così priva di identità da essere pronta per ogni scorribanda di corsari del mercato. Ma l’azione più netta nel rapporto di Profumo con Siena, piena di vassalli e cortigiani, è stata la lucida determinazione di tagliar fuori la città, definitivamente, dalle cose del Monte.
Profumo ha cercato, con tutte le energie e le influenze possibili, di killerare la Fondazione Mps, velocizzando i tempi del penultimo aumento di capitale, proprio per far fuori la Fondazione. In quel freddo dicembre, mentre il Pd senese “cerchiobottava”, balbettando tra Banca e Fondazione, la resistenza di Antonella Mansi fu fondamentale. Nonostante pressioni talmente forti da determinare, già allora – appena passato Natale – la decisione della Mansi, di lasciare la Fondazione dopo averla salvata.
Non si sa se, quando andrà via il 6 agosto, Profumo potrà dire di aver salvato il Monte. Perché ormai solo una fusione pare in grado di far sopravvivere la banca. Negli inni di lode verso Profumo, che si intensificheranno in questi ultimi giorni, potrebbe anche questo essere ricordato? Oppure la città vorrà ancora distinguersi per quel bisogno di rappresentazione di un evidente servilismo cortigiano, verso i condottieri venuti da fuori a maramaldeggiare su una Siena ripiegata?
La debolezza della politica è spaventosa, i senesi non riescono a esprimere l’orgoglio di un’altra città, diversa sia dal potere clientelare di prima, che dalla sterilità politica di oggi in grado solo di fronteggiarsi veto contro veto, per qualche poltroncina di ultima fila. In questo quadro gli inni a Profumo che va, non sono che l’ovvia rappresentazione di una commedia senese, in cui tanti personaggi continuano a rimanere in cerca di autore. E pullulano i “cortigiani, vil razza dannata” , che ben presto andranno per il Corso a cercare di intercettare una stretta di mano di Massimo (Tononi) e lo inviteranno a bere in Contrada.