«Giungemmo all'isola del Giglio la mattina dopo il naufragio della Concordia e chiedemmo di incontrare il comandante per capire la dinamica dell'incidente e poi per poterlo riportare, anche agli assicuratori, e comunque per avere un quadro più chiaro della situazione. Il comandante Schettino ci disse che a un certo punto sentì un urto laterale a poppa, che lo scoglio non era segnalato sulle mappe nautiche, che diede ordine di mettere il timone tutto a dritta e poi tutto a sinistra» per governare la nave sbilanciata. E’ quanto ha ricordato l'avvocato Cristina Porcelli di Costa Crociere spa, sentita questa mattina come testimone al processo contro Francesco Schettino. Si tratta della prima udienza in cui compaiono dirigenti di Costa che si occuparono, da terra, della crisi della Concordia dopo il naufragio. Nella giornata di oggi saranno ascoltati anche Paolo Mattesi, responsabile della safety di Costa Crociere; poi l'ex co-indagato (posizione archiviata)e  Paolo Giacomo Parodi, ispettore tecnico nonche' 'fleet superintendent' dell'unità di crisi.

«Schettino non fece alcun cenno alle vittime e alla tragedia»Proseguendo il suo racconto l'avvocato Porcelli, che fece parte dell'unità di crisi la sera del naufragio, ha anche detto che «il comandante diceva di aver fatto una manovra che aveva salvato vite umane» ma anche che «non fece nessun cenno alle vittime, né alla tragedia, continuava a dire di essere un comandante di grande esperienza». Poi la testimone accompagnò Schettino alla capitaneria di Porto Santo Stefano da dove il comandante cominciò ad essere assistito dall'avvocato Bruno Leporatti «legale che fu consigliato dall'azienda, in quanto Schettino era un dipendente e ancora non si conosceva l'esatto svolgimento dei fatti».

Capo safety di Costa: «Schettino era scosso. Gli dissi che non c’era bisogno che risalisse a bordo»  «Alle 1.30 partimmo da Genova per il Giglio con altri colleghi dell'unità di crisi, ci fermammo prima a Livorno, alla capitaneria di porto dove c'erano l'ammiraglio Dell'Anna, il comandante De Falco, altri ufficiali. E' da lì, dopo le 4, che parlai al telefono con Schettino e gli dissi che non c'era bisogno che risalisse lui a bordo della Concordia. Era scosso, provato. Gli dissi che a bordo ci sarebbe andato il safety manager della nave Martino Pellegrini». Lo ha raccontato il dirigente di Costa spa, Paolo Mattesi, che faceva parte dell'unità di crisi della compagnia la sera del 13 gennaio 2012 come direttore della 'safety' della flotta e vice Dpa (Designated person ashore), figura di contatto fra le navi in mare e le strutture operative di terra della stessa Costa Crociere. «Quella sera – ha anche ricordato – ero sceso da un aereo dall'Inghilterra, trovai due sms sul cellulare da cui capii che c'era un problema. A mezzanotte e mezzo arrivo in sala unità di crisi Costa a Genova. Trovo l'ingegner Parodi che era con personale del Rina, l'ente di certificazione, in una sala attigua. Roberto Ferrarini mi dice che la nave era già sbandata di 80 gradi». Mattesi in aula ha ripercorso le fasi dell'emergenza e ricostruito il flusso di informazioni frammentarie che via via giungevano a Genova. Sempre durante la sua testimonianza sono state fatte anche ascoltare due telefonate del 25 febbraio 2012 con un altro comandante di nave Costa, Massimo Garbarino, il quale discute con lui se fosse corretto o meno lasciare alcune porte stagne della nave aperte durante la navigazione per motivi pratici (per accedere agevolmente ai locali lavanderia e biancheria). Garbarino dice di non voler «finire sulla graticola», ma Mattesi lo rassicura e gli suggerisce di tenere le porte stagne chiuse nei periodi in cui l'equipaggio non ha bisogno di movimentare i carrelli.

«Dopo il naufragio obbligatorio psico test per i capitani» «Dopo l'incidente della Concordia, la Costa ha reso obbligatorio per i comandanti delle sue navi fare test con lo psicologo». Lo ha riferito in aula Maurizio Campagnoli, 'industrial and employees relations director' di Costa Crociere e componente dell'ufficio legale della compagnia di navigazione, testimoniando oggi al processo. Quella che era una prassi in uso nella compagnia, è stato spiegato dal teste, è diventata una procedura obbligatoria che i capitani di nave devono osservare periodicamente. Anche Campagnoli ha riferito della riunione dell'unità di crisi alla sede della Costa a Genova la sera del 13 gennaio 2012, mentre era in corso il naufragio all'Isola del Giglio. «Arrivai all'unità di crisi intorno alle 23 – ha raccontato -, c'erano Ferrarini e Parodi e chiesi immediatamente cosa fosse successo. Mi dissero che sulla Costa Concordia c'era stato un black out. Parodi disse che la nave poteva essere riparata»  ha proseguito Campagnoli che vide «Ferrarini che tramite auricolare stava parlando con Schettino, ma non sentivo quello che diceva al comandante. Mi ricordo quello che confermò Ferrarini, cioè che era stata da poco data l'emergenza generale».