Queste primarie per la scelta del candidato governatore non s’hanno da fare. La competizione interna diventata nell’ultimo decennio un dogma quasi irrinunciabile per il Pd, con molta probabilità non si terrà. La decisione formale spetta all’assemblea regionale convocata per sabato, ma le ripetute esternazioni del segretario regionale Dario Parrini sull’impossibilità di derogare alle regole statutarie di fatto chiudono la partita. Le 7.500 firme da raccogliere in dieci giorni a sostegno della candidatura alternativa di Luciano Modica da parte dei civatiani (con una tempistica assai infelice, considerato l’accavallarsi con le festività natalizie) sono considerate troppe e in un tempo troppo esiguo. Peraltro con una platea, quella degli iscritti al Pd, sempre più ristretta.
La provocazione Il dibattito interno al partito sul tema è acceso. Fabio Di Meo, referente dell’associazione Siena possibile (ex area Civati), non usa mezzi termini: «La richiesta di raccogliere 7.500 firme in dieci giorni è palesemente una provocazione». La proposta è di prevedere quanto meno un prolungamento dei tempi, come accaduto per esempio in Emilia Romagna o in Puglia. Una possibilità per la quale al momento Parrini non lascia intravedere spiragli. «La scelta di negare le primarie – attacca Siena possibile in una nota stampa che riflette gli umori dei civatiani toscani – avrà la conseguenza di rendere vuote le parole di Enrico Rossi quando affermò di “essere pronto a fare le primarie” e al contrario rumoroso ed eloquente il silenzio del presidente in questi ultimi giorni. E anche stupefacente il timore, per un politico con alle spalle quindici anni di esperienza in Regione, di confrontarsi apertamente sui temi programmatici».
Partito diviso Si profila così un altro motivo di frizione all’interno del Pd sul versante Regione, dopo quello fragoroso al momento dell’approvazione proprio della nuova legge elettorale, quando sette consiglieri non parteciparono al voto finale. «L’accordo con Forza Italia era talmente blindato da impedire modifiche di assoluto buon senso», scrissero allora in una nota Daniela Lastri, Vanessa Boretti, Aldo Morelli, Gianfranco Venturi, Pier Paolo Tognocchi, Lucia Matergi, Fabrizio Mattei, con riferimento tra l’altro alle proposte di eliminare il listino bloccato e abbassare al 3% la soglia di sbarramento. Ora la spaccatura sui meccanismi di individuazione del candidato governatore: le primarie con ogni probabilità salteranno, facendo così il paio con quelle per i candidati consiglieri, eliminate nel nome del ritorno alla preferenza. Con alcuni quesiti irrisolti: il Pd toscano si era fatto un vanto di aver introdotto la prima legge per le primarie in Italia e ora l’ha abolita senza neppure troppi rimpianti, i Ds hanno più volte effettuato le primarie anche quando si votava con le preferenze, la concessione di scelta ai cittadini sarà lasciata in una rosa comunque ristretta di candidati indicati dai vertici del partito. Contraddizioni non da poco, per un partito che Matteo Renzi ha conquistato a suon di primarie allargate al massimo e di prevalenza delle logiche politiche su quelle burocratiche.