PISA – Sulla marcia verso il pieno recupero di quanto perduto con la pandemia, le imprese manifatturiere stanno incontrando ostacoli significativi dovuti agli incrementi dei loro costi.
Fra le voci più pesanti, accanto a quelle per materie prime, componentistica e trasporti, un posto particolare è occupato dall’energia elettrica e dal gas metano, che stanno conoscendo impennate eccezionali: prescindendo dal crollo anomalo del 2020 e confrontando il 2021 con il “normale” 2019, il prezzo dell’energia elettrica registra un incremento che supera il 70%, mentre il gas metano arriva addirittura a sfiorare aumenti del 90%.
I costi energetici hanno una rilevanza particolarmente forte per motivi intuibili: energia elettrica e gas metano (quest’ultimo a sua volta utilizzato massicciamente anche per la produzione di energia elettrica) sono indispensabili per le produzioni manifatturiere e colpiscono quindi, in maggiore o minore misura, tutte le aziende, con effetti a cascata sulle relazioni commerciali all’interno delle filiere e sul prezzo finale dei beni.
Le imprese di Lucca, Pistoia e Prato non sfuggono a queste dinamiche e non nascondono la preoccupazione per la situazione che si è determinata.
“Il fenomeno del caro-energia ha dimensioni mondiali, legate al nuovo incremento del prezzo di petrolio e carbone. Tuttavia per l’Italia, peraltro pressoché priva di fonti energetiche fossili, questa situazione è particolarmente pesante per almeno due motivi: il forte profilo manifatturiero del nostro paese, che rende sostenuta la domanda di energia e gas, e l’assenza di una vera, forte e incisiva politica energetica nazionale – commenta il vicepresidente di Confindustria Toscana Nord con delega all’energia, Tiziano Pieretti -. Come aziende risentiamo tutte della situazione che si è determinata e che innesca tensioni sui mercati e nelle relazioni di filiera. Non c’è settore che sfugga: dal cartario alla moda, dalla metalmeccanica alla chimica-plastica, dall’alimentare al lapideo, siamo tutti, necessariamente, consumatori di energia o gas o entrambi. Le imprese lavorano costantemente sul risparmio energetico e sull’efficientamento degli impianti produttivi; dall’altro lato i nostri consorzi e gruppi di acquisto stanno operando molto bene per cogliere ogni opportunità di ottimizzazione dei costi. Anche il Governo è intervenuto per mitigare almeno in parte il carico fiscale sull’energia elettrica, dove questo è particolarmente ingente. Tutto questo consente di limitare i danni, che comunque inevitabilmente ci sono e che si innestano su un quadro già difficile anche in precedenza. Da sempre infatti sul fronte dei costi energetici vi è una forte penalizzazione delle imprese italiane rispetto ai concorrenti europei, con un gap competitivo di entità rilevante. Il nostro paese, che dipende dall’estero per la quasi totalità del suo fabbisogno energetico, non dovrebbe lasciare niente di intentato per garantire a imprese e famiglie condizioni di accesso all’energia almeno accettabili. Purtroppo non è così.”
L’attuale crisi è dovuta soprattutto allo squilibrio creatosi fra la ripresa produttiva e quindi l’accresciuta domanda energetica da un lato e dall’altro da politiche che, almeno nei paesi occidentali, non favoriscono gli investimenti nel settore estrattivo e tendono ad affrancarsi dai combustibili fossili a vantaggio delle energie rinnovabili: scelte con forti e motivate basi ambientali, che tuttavia scontano un ancora insufficiente volume di produzione di energia “verde”. Ad amplificare in Italia il problema costi anche il carico fiscale che, soprattutto per l’elettricità (e a parte le mitigazioni introdotte per questo periodo particolare), pesa fortemente sulla bolletta energetica delle imprese.
“Su situazioni di portata globale come quella attuale il nostro paese non può oggettivamente intervenire in maniera significativa. Tuttavia sul capitolo energia in generale ci sarebbe spazio per un profondo ripensamento delle politiche nazionali – conclude Pieretti -. Ad esempio preoccupa molto il costo della CO2 che ha raggiunto livelli elevatissimi. Partendo dal concetto che gli obiettivi nobili della misura da noi condivisi erano e sono la riduzione della CO2 a livello globale, la misura invece non produce questo e aggrava il costo delle aziende efficienti per finanziare impianti vecchi ed obsoleti o alimentati con combustibili altamente inquinanti. Di conseguenza l’Italia potrebbe soddisfare in misura più consistente i propri fabbisogni energetici, realizzare un contenimento dei costi e ottemperare alla diminuzione delle emissioni di CO2 anche in un modo che è ben consolidato in tanti altri paesi: diffondendo e potenziando la termovalorizzazione dei rifiuti (l’energia prodotta – elettrica e termica – non rientra nel calcolo della CO2), soluzione che consentirebbe anche di risolvere il problema dello smaltimento di questi ultimi. Un tema, quello della termovalorizzazione, che soprattutto nella nostra regione incontra ostacoli numerosi e incomprensibili. Ma è tutto il macrotema della transizione energetica che richiederebbe da parte della politica nazionale e locale attenzioni maggiori di quelle che sembrano esserle riservate. L’impennata dei costi energetici, la cui durata è ad oggi imprevedibile e che costituisce un vero e proprio macigno sulla via della ripresa, sia uno stimolo in questa direzione.”