Oggi le vediamo in una colorazione tendente al verde, a volte corrose e frammentarie eppure ugualmente bellissime e piene di fascino. Ma un tempo queste statue brillavano in tutto lo splendore del bronzo appena fuso, con un colore dorato e lucente, erano impreziosite da particolari realizzati con inserti d’argento e d’oro, rese più ‘vive’ da labbra in rame e da occhi in pasta di vetro, ceramica oppure corno. Una cosa che non si era mai vista. Ce ne danno una corposa e valida testimonianza i 50 capolavori raccolti nella mostra ‘Potere e Pathos. Bronzi del mondo ellenistico’, aperta dal 14 marzo al 21 giugno nei saloni del primo piano di Palazzo Strozzi a Firenze (orario: tutti i giorni 10-20, giovedì 10-23 – info: 055.2645155 – www.palazzostrozzi.org), prima tappa di un percorso espositivo che proseguirà al Los Angeles in luglio e si concluderà a Washington fra dicembre e marzo 2016.
La diffusione dell’arte in bronzo Fra il IV e il I secolo a.C., con lo sviluppo delle tecniche di fusione e il manifestarsi di nuove forme espressive legate alle conquiste di Alessandro Magno, la statuaria bronzea invase e ornò templi, case, cimiteri e piazze del mondo allora conosciuto: il bacino del Mediterraneo e le terre fino ai confini dell’Etiopia e dell’India. Lo stesso Plinio il Vecchio ci testimonia che il ‘bronzo corinzio’ era considerato più prezioso dell’argento e di valore quasi paragonabile all’oro. Ottenute da leghe di rame, stagno, piombo e altri elementi, le statue bronzee furono prodotte a migliaia in tutto il mondo ellenistico. Si concentravano in spazi pubblici e luoghi aperti: ritratti onorifici di regnanti e cittadini popolavano le piazze delle città, mentre immagini di divinità ed eroi affollavano i santuari. Gli scultori abbandonarono i canoni classici, sostituendo le forme idealizzate con rese realistiche di stati fisici ed emotivi: la freschezza giovanile e l’invecchiamento, la calma e le preoccupazioni, la fronte aggrottata e le rughe intorno agli occhi. Si cominciò così a rappresentare fisicamente il ‘pathos’, lo stato d’animo. Ma anche il potere: se l’arte del mondo greco era infatti rivolta alla ‘polis’ e ai cittadini, l’Ellenismo si rivolse alle corti e ai nuovi monarchi, di cui celebrava le imprese e i fasti.
Il mare restituisce tesori Superiore al marmo per resistenza alla trazione, riflettività e capacità di riprodurre i più piccoli dettagli, il bronzo si adattava a composizioni dinamiche, sensazionali rappresentazioni di nudo ed espressioni grafiche di età e carattere. Non solo. Mentre con il marmo si doveva ricominciare ogni volta da capo, le fusioni a cera persa permettevano di replicare intere statue o singoli particolari come braccia e gambe, rendendone più rapida la produzione e il commercio. Sono pochi, tuttavia, i bronzi conservati e giunti fino a noi, in gran parte perduti perchè fusi nei secoli per ottenerne metallo da trasformare in monete o armi. La maggior parte degli esemplari superstiti proviene infatti dai fondali marini, commovente testimonianza di antichi naufragi. Come la ‘Figura virile’ scoperta nel mare di Brindisi nel 1992, la ‘Testa di uomo con la kausia’ ritrovata nel 1997 nel mare Egeo, al largo dell’isola di Calimno. Del ritrovamento della ‘Testa di Apollo’ emersa dal mare di Salerno nel dicembre del 1930 ci resta la testimonianza poetica di Ungaretti, colpito dal suo sorriso “indulgente e fremente” che sembra manifestare “non so quale canto di giovinezza resuscitata”.
Le opere in mostra Dalla Villa dei Papiri di Ercolano proviene invece l’erma firmata da “Apollonio, figlio di Archia, ateniese”, scoperta il 28 maggio 1753 durante gli scavi insieme a 85 sculture in bronzo e marmo: la più vasta collezione di statuaria antica giunta fino a noi. Da antichi scavi ecco poi la Minerva di Arezzo e l’Idolino di Pesaro, rinvenuto in frammenti nel 1530, ricomposto e subito collocato su un basamento in bronzo appositamente realizzato dai fratelli Solari forse su disegno di Sebastiano Serlio. E ancora l’Arringatore che appartenne a Cosimo I de’ Medici e che apre l’esposizione insieme alla base di statua con la firma del grande artista Lisippo: un raro documento rinvenuto nel 1901 nell’antica Corinto. Da citare ancora la presenza dell’Apoxyomenos (atleta con strigolo) di Vienna scelto come immagine della mostra: lo vediamo qui affiancato dalla versione in marmo degli Uffizi utilizzata per il suo restauro. Affiancati sono anche i due Apollo-Kouroi di ispirazione arcaica conservati a Pompei e al Louvre.
Una mostra senza precedenti, con prestiti da tutto il mondo, curata da Jens Daehner e Kenneth Lapatin con l’allestimento di Luigi Cupellini e organizzata in collaborazione con il Paul Getty Museum di Los Angeles, la National Gallery of Art di Washington e la Soprintendenza Archeologica della Toscana, Quest’ultima, a sua volta, ospita al Museo Archeologico di Firenze dal 21 marzo al 21 giugno la mostra collegata ‘Piccoli grandi bronzi. Capolavori greci, etruschi e romani’, con la straordinaria collezione di piccole sculture bronzee riunite dai Medici e dai Lorena nel corso di tre secoli.
Iniziative per famiglie Non manca il consueto ‘pacchetto’ predisposto da Palazzo Strozzi per le famiglie: il gioco della statua scomparsa, la speciale ‘valigia’ del bronzo, il kit disegno e le sale interattive per approfondire la tecnica del bronzo. E poi il ‘Passaporto per l’Archeologia in Toscana’, che ci guida in tutta la regione, a spasso fra musei e scavi.