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Dopo le nostre interviste ai candidati Luigi De Mossi e Pierluigi Piccini, è oggi la volta di incontrare Bruno Valentini, sindaco in carica a Siena e in attesa di conoscere se il suo partito intende riconfermarlo. Nel Pd, infatti soffiano venti di guerra, basti pensare che domenica scorsa gli “scaramelliani” (cioè referenti del consigliere regionale Stefano Scaramelli) hanno consumato lo strappo definitivo con la vicesegretaria comunale del Pd di Siena, Ginevra La Russa, che ha sostenuto «il bisogno di un candidato sindaco che sappia aggregare e progettare, non di un ragioniere per far tornare i conti», ammettendo poi che “l’azione amministrativa della giunta è stata buona, ma quella politica disastrosa”. Qualche ora dopo è stato il segretario comunale di Siena Simone Vigni a chiarire che quella di La Russa non era la posizione ufficiale del partito. Abbiamo pensato di chiedere al diretto interessato cosa accade nel suo partito per capire lo stato dell’arte della sua candidatura e se è vero che a lui un altro mandato piacerebbe farlo. «Se questo è il segno della novità, del nuovo che avanza, ma allora meglio il vecchio», dice Valentini sorridendo.

Come ha saputo di questa intervista, se l’aspettava? Cosa ha provato?
«L’ho saputa leggendo i giornali domenica mattina, la notizia era in prima pagina. Ci sono rimasto male, è vero che ricopro un ruolo amministrativo, ma sono pur sempre un uomo e leggere ciò che il giornale riportava, il modo scelto per contrastarmi, mi ha amareggiato, non posso nasconderlo».

Quello di La Russa è fuoco amico o è da inquadrarsi quale agguato da resa dei conti?
«Ginevra è giovane, forse dovrebbe avere una impostazione nella quale si lavora per un obiettivo comune. Bisognerebbe lavorassimo per cercare di superare le lacerazioni, non per accentuarle. Che poi è ciò che dice sempre il nostro segretario nazionale”.

Faccio notare a Valentini che la sua impertubabilità sembra essere direttamente proporzionale al suo essere fortemente dibattuto, dalle opposizione e ora pure dal suo stesso partito. E che il sorriso sarcastico assume una dimensione plastica sempre più evidente.

Le opposizioni fanno il mestiere di opposizione, la contestano perché loro farebbero diversamente e meglio. Ma cosa ha da rivendicarle il suo partito a Siena in termini pratici?
«Guardi, io evito le polemiche dirette perché voglio bene al mio partito. Mi si contesta di essere stato troppo bravo come ragioniere. Ma magari vi fossero stati prima di me ragionieri bravi (ride n.d.r.). Non possono fare diversamente che dire che contabilmente ho amministrato bene, perché siamo usciti da una situazione di baratro. Ma al tempo stesso abbiamo tenuto d’occhio i conti garantendo i servizi, progettando iniziative e investendo in attività e lavori pubblici. Tanto è vero che oggi le opposizioni contestano che sto facendo troppo, secondo loro perché siamo in campagna elettorale e voglio ingraziarmi l’elettorato. Invece la verità è che molte delle cose che sto facendo non potevamo farle prima perché mancavano le risorse».

Va bene ma non è possibile che un sassolino dalla scarpa non voglia toglierselo, per il modo che le è stato riservato. In fin dei conti lei è pur sempre il Sindaco di Siena.
«Io pretendo il rispetto dalle opposizioni, dagli avversari politici della mia amministrazione, figuriamoci fra compagni di partito. Però ciò che tengo a dire è che i senesi, gli italiani, vogliono un’altra politica, se continua questa deriva ne facciamo le spese tutti».

Valentini perché il suo nome fa discutere, perché la sua candidatura sarebbe a rischio?
«Il partito democratico viene da una scissione. Poi, il referendum del 4 dicembre del 2016, dove gli italiani sembrava che per quanto potessero essere d’accordo sui contenuti dei quesiti, alla fine si sono divisi sul presidente del consiglio. A volte ho l’impressione che questo avvenga anche a Siena, dove io non ho mai pensato di costruire una personale corrente, ma ho lavorato per il bene di tutti mettendo casomai in discussione il meccanismo consolidato del sistema di potere sedimentatosi in città. Questo ultimo aspetto, la mia caparbietà ad evitare una politica di bassa cucina, è causa di inimicizie. Ma sa una cosa? Più il Pd mi spara addosso più acquisto consenso».

Da fuori trapela una sua forte testardaggine a voler continuare nel secondo mandato, questo può essere letto quale elemento positivo, ma cosa la spinge a lottare per ottenere la candidatura al secondo mandato? Chi glielo fa fare?
«Guardi, io coltivo molte passioni e ho dei progetti personali allettanti. Amo andare in bici, correre, e poi ho in programma di viaggiare per le vie Fracigene per conoscere luoghi e gente nuova. Non ho nulla da chiedere, non dipendo dalla politica. Riguardo al secondo mandato certamente vorrei provare a cimentarmi con una condizione economica diversa per dare a Siena la spinta dinamica che le occorre dopo questi duri anni di crisi. Tra due anni scade una importante linea di debito e il Comune avrà 5 milioni all’anno da spendere. Allora penso che vorrei vivere la fase in discesa dopo aver affrontato tanta salita».

Perché allora è così difficile portare la sua coalizione a queste ragioni? Trasmettere la passione che ha dentro e ottenere la candidatura al secondo mandato?
«Cosa vuole che le dica? Forse cercano un campione di preferenze, e al tempo stesso non si accorgono che tra tutti quelli fino ad ora scesi in campo io sarei il candidato più popolare».

Perché questi altri candidati sarebbero meno popolari di lei?
«A Siena il M5S rappresenta l’emblema della mediocrità e quindi lo escludiamo dal computo. Rispetto a De Mossi e Piccini dico che sono sicuramente persone capaci, ma sono ostaggio di un bagaglio di livore e ritorsione che non farebbe bene alla città, che non le consentirebbe di guardare avanti e oltre questi duri anni di crisi che ha vissuto».

A leggere le critiche che le vengono mosse si trovano argomenti oggettivi più che rancorosi. Penso al Santa Maria della Scala…
«Riuscire a fare la biglietteria unica del Duomo dentro il Santa Maria della Scala per me rappresenta un buon risultato, di cui altri non vogliono tener conto. E guardi che, visto che l’ha nominato, sul Santa Maria della Scala siamo solo agli inizi. Siamo riusciti a stipulare un protocollo con il ministero dei Beni culturali per un sistema museale cittadino interdipendente che rappresenti un’attrazione di livello nazionale. Guardi la mostra del Lorenzetti che è stata prolungata, ha fatto 35.000 visite, è stata giudicata la mostra migliore d’Italia e l’abbiamo voluta prolungare. Lo scorso fine settimana questa mostra ha fatto 4.000 visite e 8.000 ne ha fatte il Duomo e il Santa Maria della Scala insieme. Questo è il segno di un lavoro non certo di improvvisazione. Come è concretezza il fatto che abbiamo voluto che il Santa Maria fosse perfettamente a norma, in modo da ospitare contemporaneamente 1.800 persone alla volta. Questo significa ridurre le file, aumentare gli accessi. Efficienza che i visitatori apprezzano».

Per cosa si batterebbe se fosse sindaco per il secondo mandato? Cosa vorrebbe lasciare ai senesi?
«Mi piacerebbe che a Siena vi fosse un’Agenzia Nazionale di ricerca e valorizzazione dei prodotti Doc e Dop, quali il Gorgonzola, il Parmigiano, il Balsamico, gli olii extravergini pregiati. La sede di questa Agenzia dovrebbe essere Palazzo del Capitano. L’altra proposta la faccio a Padoan che sarà il candidato di Siena del Partito democratico alle prossime elezioni legislative ed è che lo Stato non deve uscire definitivamente da Mps. Il Mef, la Consob, la Banca d’Italia avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione a quanto stava accadendo a Siena. Il fatto che lo Stato resti nel capitale del Monte sarebbe una giusto e dovuto riconoscimento».