Del Santa Maria della Scala ricordo tutto. L’enorme camerata dove andai a trovare mio babbo quando ormai il suo destino era già segnato. E poi le lunghe, estenuanti, onnipresenti, vaticinazioni sul futuro – sempre prossimo – del Santa Maria della Scala, inteso come grande cittadella della cultura, volano dello sviluppo di una Siena nuova.
Pagine su pagine basate su questo refrain, che si sono susseguite in almeno quattro decenni. A volte scritte, a volte lette. A volte anche incomprensibili, vista la caterva di intellettuali che hanno sparso il loro sapere su questa vicenda. Mostrando sempre la loro forbita erudizione, mai – salvo rarissime eccezioni – la rabbia per il sostanziale immobilismo che da sempre caratterizza il Santa Maria della Scala per quello che avrebbe dovuto essere secondo l’originario progetto di Guido Canali del 1992.
Certo, il museo è aperto grazie a una cinquantina di milioni sparsi nell’era della Fondazione Mps-bancomat. E c’è perfino un incremento di visitatori, rispetto ai 45.000 del 2013, cifra raggiunta nel medesimo anno anche dal Museo di Solferino, che ha come mission, il ricordo della battaglia di San Martino del 24 giugno 1859. Espone quindi solo cannoni, armi, uniformi e cimeli vari risorgimentali. Ora il sindaco Bruno Valentini ha parlato di un incremento di oltre il 50% di ingressi. Bene. Forse siamo avanti al Museo della Battaglia.
Ma il Santa Maria della Scala che non doveva essere solo un museo – ricordate? laboratori artigianali, open space per attività culturali, e certo, anche spazi espositivi integrati – si avvia ora ad essere un museo, privato di quello che da sempre pareva il suo nucleo identitario: la collezione della Pinacoteca Nazionale di Siena. Fondamentale non solo e non tanto per quanto sostenuto da analisi di storici e critici d’arte, ma perché realizzava il connubio fra la storia e la cultura senese e il riconoscimento di un ruolo di eccellenza da parte dello Stato, attraverso la destinazione delle opere di un museo statale – appunto la Pinacoteca – nel luogo simbolo della civitas senese, il Santa Maria della Scala. A questo link , chi vuole può trovare la convenzione siglata nel Duemila fra lo Stato (ministro Giovanna Melandri) e il Comune di Siena (sindaco Pierluigi Piccini) dove si determinava, appunto, il percorso verso il trasferimento della Pinacoteca Nazionale al Santa Maria della Scala. Tutto “rottamato”.
Oggi, tra sottili distinguo, raffinate e forbite prese di distanza, tra il dire e il non dire, come solo gli intellettuali snob sanno fare, si va affermando in modo strisciante ciò che “qualcuno” ha scritto: la Pinacoteca ha altre idee rispetto alla destinazione delle proprie opere al Santa Maria della Scala. Siccome quel “qualcuno”, è Pierluigi Piccini, Daniele Pitteri, il super assessore al Santa Maria della Scala che così ha definito l’ex sindaco di Siena, evidentemente è già stato addestrato a non citarlo neppure.
Eppure Piccini, attraverso il suo blog, ha avuto il merito di aver fatto riflettere sugli effetti di quanto annunciato nell’articolo de La Nazione «Nasce il grande polo museale. La Pinacoteca abbraccia il centro». Dove si parla di sdoppiamenti, trasferimenti e nuove direttrici di marcia per la Pinacoteca. Pitteri si arrampica sugli specchi per dire che la Pinacoteca fa il suo, ma non abbandona il Santa Maria della Scala. Ma si fa fatica a capire il senso di tutto questo.
Già dal 2014 l’allora Soprintendente Mario Scalini ha iniziato l’opera di frammentazione del patrimonio espositivo della Pinacoteca. Destinando a Palazzo Chigi Piccolomini, sede tuttora degli uffici della Pinacoteca, una parte delle opere del Seicento. Ne scrissi, sconcertato, in questo blog. Fra l’altro non si capisce il senso dello sdoppiamento delle sedi espositive, anche perché sono poco più di ventimila i visitatori della Pinacoteca. E non è che raddoppino per forza, se si moltiplicano le gallerie.
A meno che sulla sede di Palazzo Chigi Piccolomini, utilizzata come uffici, non pesi una disposizione originaria di lascito, che obblighi ad una destinazione museale.
Ma se così fosse, perché non dirlo? Perché non aprirsi ad un confronto sulla città e dire con chiarezza quale sarà il futuro di una Pinacoteca che, vista la straordinaria qualità delle opere che raccoglie, ha bisogno di uscire dal cono d’ombra in cui è precipitata. Incapace di approfittare anche della luce concessa dalla mostra a Bruxelles durante il semestre di Presidenza italiana. Nessuno seppe approfittare, comunicativamente, di quella ribalta importante. E ne ho testimonianza diretta, essendo stato tra i pochissimi giornalisti ad aver visitato e poi raccontato quella mostra.
Ai tempi dell’inizio dello smembramento voluto da Scalini, un anno e mezzo fa, il sindaco Bruno Valentini disse due cose: «Le recenti decisioni della Soprintendenza in merito ad eventuali trasferimenti di opere dalla Pinacoteca Nazionale di Siena sono state assunte al di fuori della discussione aperta nel tavolo di lavoro interistituzionale coordinato dal Comune di Siena». E ancora: «Non conosciamo nel dettaglio l’operazione, ma in questo momento in cui si sta progettando il trasferimento complessivo delle opere della Pinacoteca al Santa Maria della Scala, saremo particolarmente vigili».
Beh, forse è il caso di essere particolarmente vigili ora. Nel momento in cui il Governo fa scelte che appaiono sempre di più distanti dalla realtà dei territori, anche sul fronte della cultura. Non per niente il destino della Pinacoteca – e quindi anche del Santa Maria della scala – dipende dal Polo Museale regionale. Abbiamo cercato il Direttore Stefano Casciu, per capire meglio, ma con cortesia ci hanno rimandato a futuri tentativi. Che faremo.
Ma quello che emerge da tutta la vicenda, fin d’ora, è il corto circuito tra le istituzioni senesi, gli amministratori statali dei musei, del resto già ammesso un anno e mezzo dal sindaco. Ma anche tra Palazzo Pubblico e Santa Maria della Scala, visto che l’assessore alla cultura Francesca Vannozzi, secondo il Pd non deve occuparsi del Santa Maria della Scala. Che è invece sotto la giurisdizione del direttore del Santa Maria della Scala, Daniele Pitteri, che se ne andrà insieme al sindaco a fine mandato. Un groviglio rovinoso, dietro al quale – come sempre – si nascondono le faide interne alle correnti e alle lobby del Pd senese.
Pitteri e Valentini, d’altro canto, sembrano molto più attenti all’incremento di visitatori – per carità, obiettivo giusto anche per la questione delle finanze – che non al ruolo del Santa Maria della Scala nella ridefinizione di una città nuova. Grande enfasi è stata messa nella presentazione del bando per l’affidamento ad esterni della gestione: «In questo modo – ha detto Pitteri – possiamo sperimentare un modello di collaborazione pubblico-privato che può traghettare il complesso museale verso l’auspicata autonomia gestionale». Ma sì, in fondo è questo il migliore futuro di Siena. Un bel gestore privato, che incrementa i visitatori del museo e tanto basterà. Per far cassa, come è giusto che sia. Nell’era in cui al richiamo culturale della Pinacoteca, sarà meglio sostituire il fascino di una Pina Colada. Sorseggiata al bar del Santa Maria della Scala.