Che sia stato uno dei più grandi e colti disegnatori del ‘600, era noto. D’altronde la grande ricerca ventennale di Elizabeth Cropper, compendiata nella mostra a Philadelphia (Prints and Drawings nel 1988) lo aveva dimostrato. Ma della produzione e della vita di Pietro Testa restavano aspetti in ombra. Molti da interpretare e contestualizzare. Sono le lacune che “Pietro Testa e la nemica fortuna. Un artista filosofo tra Lucca e Roma” colma, mettendo un punto nella ricerca su Testa. La voluminosa opera curata da Giulia Fusconi e Angiola Canevari – con l’appoggio di Maria Antonella Fusco dell’ Istituto nazionale Grafica, il sostegno di Angelo Canevari e Antonio Giuliano e, tra gli altri, di Stefan Albl – riequilibra il valore di Testa pittore.
La strana vita di Pietro Testa Da Lucca, Pietro Testa arrivò a Roma nel 1628. Una città, desiderosa di aprirsi alla modernità pur vivendo nella cerchia di papa Urbano VIII Barberini. Il libro arricchisce la biografia dell’artista: eccettuato il triennio 1638-41, di lui è stata ricostruita tutta la vita, comprese incarcerazioni, difficoltà economiche, i rapporti con Stefano Garbesi, Gerolamo Buonvisi e Cassiano. Una vita scandita da un’ansia sempre frustrata di riconoscimento, fino alla depressione e al (possibile) suicidio – che sembra annunciato nella tarda produzione (il suicidio di Catone, il suicidio di Didone, “Alessandro Magno salvato dalle acque del fiume Cidno”) – con il suo corpo trovato nel 1650 nel Tevere. Pietro Testa morì a 38 anni.