FIRENZE – Le regole per il contenimento della peste suina africana sono un classico ‘due pesi e due misure’. Se il caso di PSA riguarda zone rurali come nel caso di Liguria e Piemonte, si adottano le massime misure restrittive, con chiusure di interi comuni ad ogni tipo di attività, agricola, forestale e turistica.
Se il caso di peste suina avviene in una città, come accaduto a Roma, basta pulirsi le scarpe prima di rientrare a casa e di chiusure neanche l’ombra. Così non può andare – sottolinea la Cia Agricoltori Italiani della Toscana – dal momento che si mette in crisi un settore fondamentale dell’economia agricola nazionale. E se la minaccia di peste suina per la Maremma toscana (e laziale) è oggi concreta e a pochi chilometri di distanza, in Lunigiana ci sono da mesi ben 13 comuni ‘sigillati’ in cui non si possono fare attività di alcun tipo. Misure troppo blande a Roma – dice la Cia Toscana – per contrastare il contagio di PSA fra i cinghiali, rispetto a quelle ben più restrittive adottate in Piemonte e Liguria, dove si combatte da gennaio col virus.
“Dopo l’ordinanza regionale, nell’area delimitata dell’Insugherata a Roma – afferma il presidente Cia Toscana, Valentino Berni, – sono ancora possibili tutte quelle attività sportive e ludico ricreative che concorrono alla diffusione del virus, di cui l’uomo – che ne è immune – è vettore, tramite calzature, vestiario, automezzi e attrezzature. Tutte attività che nella zona rossa al Nord sono state subito interdette. Speriamo che il prossimo arrivo degli ispettori Ue a Roma abbia un influsso determinante sui nostri decisori politici, da parte nostra sollecitiamo, ancora una volta, politiche di contenimento, con una campagna di riduzione del numero dei capi”.
Cia chiede alla Regione Toscana di attivarsi immediatamente affinché tuteli il nostro territorio, mettendo in campo tutti gli strumenti utili e le iniziative necessarie per evitare la diffusione del virus, anche per superficialità di altri enti. La gestione dell’emergenza sanitaria sia uniforme su tutto il territorio nazionale. “Noi ci stiamo ad esser considerati cittadini di serie B, e a subire scelte che comunque penalizzano l’attività agricola della nostra regione” aggiunge Berni.
Senza un contenimento efficace a Roma, la diffusione a macchia d’olio della PSA rischia di pregiudicare tutto l’indotto della suinicoltura laziale (43mila capi), e dalla Maremma poi dilagare in tutta la Toscana, ancora più rilevante nel comparto. La Toscana conta, infatti, 124.256 capi a rischio contagio dal virus, che dal cinghiale selvatico si trasmette rapidamente alla popolazione suina (letalità maggiore del 90%), mettendo a repentaglio la produzione italiana di insaccati e rinomati prodotti Dop, come la Cinta senese. La diffusione in Toscana comporterebbe, inoltre, la macellazione d’emergenza in via cautelativa di tutti quei suini allevati allo stato semi-brado, più a rischio di contrarre l’infezione (circa 25mila). Per Cia, questo sarebbe un grave danno anche alla biodiversità, con la distruzione di razze autoctone italiane che costituiscono un patrimonio unico sotto il profilo sociale, biologico, culturale ed economico.
In assenza di un adeguamento nella Capitale della normativa ministeriale vigente, Cia teme, infatti, una rapida diffusione della PSA che potrebbe rapidamente dilagare in altri parchi laziali e poi arrivare in Maremma, contagiando tutta la popolazione suina.
Grave la ricaduta economica stimata: circa 200mln di euro, valore della produzione del settore nelle due Regioni (Lazio e Toscana), cui si potrebbe aggiungere anche l’Umbria. Senza contare il rischio dell’adozione di misure restrittive dell’import di carni suine da parte dei Paesi Terzi, con danni economici pesantissimi alla filiera (1,6mld il valore dell’export), pregiudicando la qualità del marchio Made in Italy nel mondo.
Per quanto concerne il temuto blocco dei mercati esteri di prosciutti e carni suine, Cia ricorda che nel caso della diffusione della PSA in Germania, nonostante le restrizioni disposte dalle autorità tedesche, la Cina dispose il blocco all’import di qualsiasi prodotto suinicolo proveniente da Berlino. Malgrado sussista, infatti, un principio di regionalizzazione (non tutto il Paese subisce il blocco movimentazione merci, nel caso di infezione territoriale), molti Paesi non lo accettano e tendono a evitare le transazioni commerciale finché la situazione epidemiologica non sia chiarita e le misure di contrasto alla diffusione del virus non siano attuate.