C’era un tempo in cui pensare all’Europa era un sogno. Oggi è poco più di una vaga idea. Purtroppo: perché in forza di un’idea, tutt’altro che vaga, potrebbero ragionevolmente unirsi popoli e stati. Se vi capitasse di andare a Saint Peter Port, nell’isola di Guernsey, merita fare un pellegrinaggio letterario alla casa d’Altavilla, dove Victor Hugo trascorse il suo esilio e scrisse I miserabili. Nel giardino, lo scrittore francese piantò un albero, sbilanciandosi a dichiarare: «Quando quest’albero sarà maturo, esisteranno gli Stati Uniti d’Europa». L’albero è rigoglioso e cresce ancora. L’Europa, invece, stenta molto.
Una unione europea risulta difficile persino se restiamo nell’àmbito della letteratura. Basti pensare a un possibile canone letterario europeo, cioè a quel repertorio di opere in cui una comunità riconosce valori particolari e esemplari. Come si sa in tal caso entrano in gioco aspetti cosiddetti identitari. E allora le questioni non si limitano all’estetica, ma coinvolgono pure l’etica. Valori spirituali, concezioni e rappresentazioni del mondo, modi di intendere e raccontare la realtà, il pensiero, la fantasia, la vita sociale, le regole e le trasgressioni, i sentimenti e le emozioni, le poetiche collettive. Così che sorge subito la domanda se esista una identità (una memoria) comune sulla quale poter fondare una letteratura europea che in lingue diverse abbia comunque parlato lo stesso linguaggio. Un canone europeo che, secondo alcuni, coinciderebbe pressoché con quello occidentale e che prontamente allinea i monumenti di Dante, Shakespeare, Ariosto, Cervantes, Lope de Vega, Goethe, Stendhal, Hugo, Flaubert, Tolstoij, Dostoevskij, Kafka…
Messa così sembrerebbe semplice. Ma ogni nazione ha da rivendicare priorità, ogni corrente di pensiero chiede, giustamente, a quali modelli estetici e ideologici ci si riferisca nello scegliere autori ed opere. Magari senza tenere conto delle egemonie culturali che hanno prodotto una storia della letteratura (e non solo). Forse represso, ammutolito, sepolto voci. Per non dire, poi, che un canone letterario non è dato una volta per sempre; poiché, per quanto contenga il senso del passato e di una identità che vi è radicata, non può prescindere dal tempo presente in cui va a re-inscriversi. E, dunque, sarebbe impensabile non rapportarlo alle molteplicità etniche e culturali ora presenti in Europa, alle geografie umane che si fondono e confondono.
Non sembri tutto ciò un dibattito effimero. Per una vera Polis europea, definirne la comune memoria culturale sarebbe da anteporre a commerci e a monete. O, tanto meno, ne costituirebbe la premessa.