2019-handDa Porta Camollia a Porta Romana. Per mano. In un venerdì pomeriggio color magenta per spingere tutti insieme la candidatura di Siena a capitale europea della cultura. E poi, tante iniziative per le strade e le piazze: cacce al tesoro fotografiche, street art, piccolo show finale in Piazza del Campo. Bello. Stare insieme nell’attesa della giuria che arriva il 9 ottobre e poi del verdetto finale del 17 ottobre. Bello. Lo sottolineo. E spero che tanti senesi ci siano domani, che partecipino, che si gustino la propria città in un giorno colorato di festa e di attesa. E bello anche il video finale di candidatura, che pensa futuro, ma accenna anche al passato che ha depredato la città. Bello. Ho scritto quattro volte bello. Volutamente.

Perchè da qualche parte, in questa città rasa al suolo dai potenti della politica e della finanza, bisogna pur ricominciare. Ci pensino, gli oppositori anche alla candidatura. Perché il presente non può essere sempre condizionato dal passato, su tutto e su tutti. Ci vuole qualcosa, un filo sottile a cui aggrapparsi anche rischiando che si spezzi. Altrimenti il continuo riferimento alla impossibilità della speranza si traduce in depressione, non in una scelta di campo orgogliosa di reazione. Che non è nelle corde di noi senesi contemporanei: che stanno ingollando tutto, perfino la distruzione delle risorse storiche per generazioni e generazioni, con un incredibile distacco. Nel silenzio o quasi, accontentandosi di quel che c’è, senza aver voglia di guardare più in là verso quel che potrà essere. Ecco che la candidatura – e il dopo, comunque vada – diventa quindi quel filo sottile di speranza, per provare a riannodare prima di tutto i nodi dell’appartenenza e dell’orgoglio di appartenere a Siena.

Nonostante gli scempi del recente passato e i mille problemi irrisolti di oggi. Poi, dopo, forse, verrà la consapevolezza dell’accaduto e la reazione da cittadini e non da sudditi. Altrimenti, se non ci si aggrappa a nulla, se si lavora solo per minare la credibilità possibile di ogni cosa, si finisce per rendere vano ogni sforzo di cambiamento reale. Perché per cambiare davvero bisogna sperare. Almeno in qualcosa. Ecco perché agganciarsi ai progetti della candidatura, che prevedono posti di lavoro e non posti di potere, può riaccendere almeno un po’ di luce in fondo al tunnel. Oltre a questo, purtroppo, c’è ben poco a cui ancorare la speranza di rinascita. In questa città ci sono state voci critiche che da anni – e non da pochi mesi – hanno capito le cose prima. E le hanno dette. Rimanendo emarginati in un limbo, esclusi dall’accesso ai media ufficiali controllati, relegati nel cantuccio della politica cittadina, che tanto andava avanti grazie al consenso basato su un sistema di prebende e favoritismi. Tanto di cappello a chi si è esposto in prima persona, a chi ha rischiato nel posto di lavoro, a chi ha fatto le sue battaglie predicando nel deserto. Ora però, inserire la candidatura nella “comunicazione” dell’opposizione è, a mio modesto parere, un errore. Non mi riferisco alle critiche ai progetti, alle modalità di gestione della candidatura: fanno parte del gioco, ci stanno e anzi sono un arricchimento dialettico. E neppure ai gruppi consiliari di opposizione, che in consiglio comunale hanno fatto la loro parte, giungendo poi ad una mozione unitaria su Siena 2019, dopo un acceso confronto con la maggioranza.

No, penso a chi dice: «speriamo di perdere, perché altrimenti i soldi li usano sempre quelli»; a chi semina gelidi veleni in politichese: «è tutta roba del Pd, come sempre». Penso a chi dice: «niente si può fare con questi che governano, meglio perdere». Ecco, questo no. Perché chi parla così non sarà mai credibile fino in fondo: perché per governarla una città, bisogna non solo conoscerla, ma anche volerle bene. Non auspicare dispetti come la sconfitta nella corsa alla candidatura. Che andrà come andrà. E non dipenderà nè dagli entusiasti, nè dagli scettici, nè dai detrattori della candidatura. Non c’è una platea di votanti a decidere, c’è una ristretta giuria di addetti ai lavori. Non c’è da fare campagna elettorale: l’unica cosa opportuna è rendere i senesi partecipi, consapevoli, magari sorridenti per un pomeriggio color magenta. Perfino prendendosi per mano da Porta Camollia a Porta Romana, per le nostre strade. E per un giorno almeno con un sorriso. Di speranza e anche di ripicca rispetto a chi ha distrutto per smania di potere.

Ecco, almeno su di me, la candidatura stamani ha avuto un effetto terapeutico: ho pensato positivo. Perché in realtà volevo scrivere di Siena Cambia che è cambiata. Dei consiglieri comunali di Siena Cambia che hanno abbassato la testa di fronte al Pd. Prima i 17 segretari dei circoli cittadini del Pd hanno scritto, sostanzialmente, che Siena Cambia doveva uscire dalla maggioranza. Poi, in consiglio comunale il Pd insieme a Sel, Riformisti e Siena Futura, ha di fatto rappresentato i contorni di una nuova maggioranza senza Siena Cambia, con l’ordine del giorno sulle commissioni consiliari. Bene: e i consiglieri comunali di Siena Cambia, che cosa hanno fatto? Forse presi dalla sindrome di Stoccolma, si sono accodati subito e hanno sostanzialmente aderito al diktat del Pd. Come è cambiata Siena Cambia! Se questo post avesse una colonna sonora, ora partirebbero le note struggenti e melanconiche di «The way we were», della splendida Barbra Streisand, co-protagonista insieme a Robert Redford, di un bel film degli anni Settanta, che si intitolava “Come eravamo”.