“Pelléas et Mélisande”, ultima produzione del 78° Maggio Musicale Fiorentino prima del tradizionale concerto sinfonico di chiusura, si è rivelata un gioiello di squisita fattura. Le premesse c’erano tutte, dalla direzione affidata a Daniele Gatti e alla regia curata da Daniele Abbado, al cast tutto italiano e di livello veramente alto. Opera anti realista e anti verista, pregna di simboli (la contemporaneità creativa con la stagione del Simbolismo è solo una delle sigle, essendo l’opera rappresentata per la prima volta nel 1902 dolentemente contemporanea da oltre un secolo), Pelléas et Mélisande è il capolavoro consapevolmente tale di Debussy, prima che dell’autore del testo Maurice Maeterlinck.
Il filo conduttore È la musica, infine, signora e padrona di quest’opera priva di arie e di sviluppo teatrale ma fatta di sottili e a volte nascostissimi allusioni e riferimenti, ad anticipare o esplicitare gli stati d’animo dei personaggi, addirittura a cedere il passo al silenzio: nell’atto IV, scena 4, l’orchestra ammutolisce di fronte alla reciproca dichiarazione d’amore dei protagonisti (Pélleas: “Je t’aime” – Mélisande: “Je t’aime aussi”). Poesia perfetta. E poetico in modo misterioso e senza tempo, così come ce lo aspettavamo, è stato lo spettacolo fiorentino. Daniele Gatti, assecondato da un’orchestra duttilissima, ha dato vita ad un testo sonoro ben scolpito che pure fluiva piacevolmente, di lettura e godimento comprensibili siccome il testo francese, raggiungendo il perfetto equilibrio dialettico con il declamato della struttura vocale. In questo è stato assecondato da un cast eccellente. Paolo Fanale e Monica Bacelli, Pèlleas e Mélisande, sono stati interpreti sensibili, che hanno utilizzato un fraseggio espressivo e sfumato, e un uso del corpo sempre in sintonia con quanto detto dal testo e sottolineato dalla musica. Buono anche l’imponente re Arkël di Roberto Scandiuzzi, perfetto nella complessità umana e vocale del suo personaggio il Golaud di Roberto Frontali, bravissima Silvia Frigato nel creare un Yniold di inquietante complessità infantile. E voce e presenza scenica aveva Sonia Ganassi, madre spettatrice della tragedia della sua famiglia.
Sulla scena Il tutto racchiuso nello spettacolo ideato da Daniele Abbado e nelle scene di Giovanni Carluccio. Queste poggiavano sull’idea di base di un’ellisse simile ad un inquietante occhio vuoto dai colori del cemento che suggeriva varianti sceniche fragili come instabili impalcature e pericolose quanto i sentimenti non agiti dei personaggi. Un mondo dolente, immerso in un paesaggio scenico di sorprendente efficacia descrittiva e sottolineato dai vestiti monocromatici ed elegantissimi di Francesca Livia Sartori. Il pubblico ha applaudito convintamente.