Il Partito Democratico, un anno dopo, ha il suo nuovo leader, Matteo Renzi, praticamente incoronato ieri nella “sua” Firenze (alla presenza del segretario Guglielmo Epifani) durante la terza, ripetitiva, edizione della Leopolda. Rispetto alle prime edizioni l’appuntamento è però diventato poco più di uno zibaldone di interventi (massimo 5 minuti a testa in cui vengono dette cose interessanti ad altre francamente strampalate) ma soprattutto una passerella per i nuovi saliti sul carro del vincitore (vedremo se saranno anche “spingitori”).
E così eccolo quello che poco più di venti mesi fa era solo un “vice disastro” (parole di Renzi), e adesso da ministro è stato il primo a salutare il Sindaco appena finito il discorso (Dario Franceschini); eccoli sfilare i tre “lothar” dalemiani (quando Palazzo Chigi si trasformò in una merchant bank dove non si parlava inglese, ricordando la celebra battuta del professor Guido Rossi) nella ex stazione come nel ristorante dal Latini per rivendicare la loro improvvisa conversione al renzismo (Nicola Latorre, Claudio Velardi e Fabrizio Rondolino); ecco la barba intellettuale dello scrittore pratese Edorardo Nesi, dopo la fuga da Scelta Civica. Ecco il già volto del Tg1 parcheggiato a Bruxelles e mai rimesso in moto nonostante la fedeltà bersaniana (David Sassoli) E poi, ancora, schiere di sindaci, presidenti, amministratori a vario titolo. In una parola, ecco schierato l’apparato democratico (quasi) al completo.
Il paradosso renziano è tutto qui, per adesso. Nel 2012 candidato alle primarie del Pd per guidare il Governo usava la parola d’ordine della “rottamazione” tutta rivolta al suo partito; quest’anno si candida alla guida del Pd e, utilizzando il linguaggio dell’uomo di Stato, presenta un proprio programma di governo. Così facendo finisce per non disturbare mai nessuno. Accresce forse il proprio consenso personale senza concretizzare mai nessun reale cambiamento.
Sa bene il Sindaco che non si parla al tacchino del Giorno del Ringraziamento, e così ha evitato di parlare di rottamazione; se ne avesse fatto cenno mezza stazione si sarebbe svuotata. Meglio, dunque, parlare di legge elettorale, di lavoro e di slogan come “cambiare l’Italia”. Così l’apparato, tanto impaurito lo scorso anno, finisce per applaudirlo, confortato di potersi ancora annidare sotto la sua ombra ascendente.
Nelle stesse ore a Siena si celebravano i congressi comunali del Pd. E anche qui i segni di rinnovamento (reale) sembrano molto pochi e il futuro sembra avere i connotati del recente passato. Ha vinto con il 61,1% dei voti Alessandro Mugnaioli, non proprio un nome di primo pelo. Ricopriva lo stesso incarico anche nel 2010 quando venne candidato a sindaco di Siena, FrancoCeccuzzi senza passare dalle primarie; poi ne divenne assessore multi-delega e, infine, presidente del suo comitato elettorale lo scorso anno, infine candidato sconfitto alle primarie di aprile scorso.
Lo scorso 21 aprile aveva perso le primarie con Bruno Valentini, poi diventato Sindaco, con un distacco di 11 punti percentuali; questa volta ha lasciato sul terreno tutti gli sfidanti che insieme raccolgono poco meno del 39% (22 punti percentuali di distacco). A perdere è stato il gruppo che fa riferimento al Sindaco che aveva schierato Gianni Porcellotti (17,2%), mentre non va oltre il 18,9% la candidatura di Alessandro Pinciani, e il candidato civatiano Manuel Menzocchi raccoglie solo il 2,7%.
Scritto così sembra un risultato scontato, ma non lo è. Mugnaioli che non ha modificato la sua linea politica rispetto all’amministrazione Valentini ha dimostrato di avere dalla sua il partito, sebbene i numeri siano sempre più bassi: 969 votanti sono, infatti, poca cosa rispetto agli iscritti del Pds e Ds di un tempo (non parliamo di Pci e Dc). Ma se ad aprile votarono alle primarie di partito 4600 persone vuol dire che ormai in pochi seguono il percorso del sindaco Valentini sul piano politico. Oppure, che il percorso politico di Valentini non è quello che si erano aspettati i sostenitori dello stesso Porcellotti e del movimento Siena Cambia. Una terza ipotesi fatichiamo a trovarla.
Più o meno con lo stesso “ritorno al futuro” (e con percentuali ancora più alte) potrebbe finire anche la partita per il segretario provinciale, dove il giovane Niccolò Guicciardini (già segretario dall'estate 2012) sembra fare il pieno in ogni congresso di circolo rispetto allo sfidante Riccardo Burresi. Qui si è arrivati anche a situazioni paradossali, e incresciose, come a Rapolano Terme con l’arrivo in massa al congresso comunale di sospetti neo tesserati. Una situazione (che non rappresenta certo la tanto declamata “bella politica” e nuova) che si era ripetuta già negli anni scorsi, e che finì con un giovane senza lavoro che vantava un posto davanti agli uffici di Sienambiente, perché a Rapolano aveva “sostenuto” un certo candidato democratico (per quella vicenda, se non ricordiamo male c’è stata anche una denuncia per presunto voto di scambio).
Tutto bene quindi? Dipende da dove si guarda. Forse qualcuno dovrebbe cominciare seriamente a domandarsi ed a chiedere ai candidati come intendono gestire il Partito che, si dice, non navighi nell’oro. Da molti mesi ormai vi è una drastica riduzione delle entrate e le operazioni in corso di spending review rischiano di compromettere la stessa vita del Pd provinciale, almeno per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi decenni: sarà dismessa dall'affitto una parte della Federazione provinciale di via Rosi, sarà lasciata l'onerosa sede della Galleria Odeon, inaugurata personalmente da Massimo D'Alema ed aperta proprio per la campagna elettorale di Franco Ceccuzzi nel 2011, il tuttomentre da mesi i funzionari non starebbero riscuotendo gli stipendi.
Candidarsi a guidare un partito vuol dire anche dimostrare di saper bene amministrare, essendo di solito quell’incarico trampolino per ben altri e prestigiosi incarichi pubblici. Lo sanno in tanti. Lo sa anche Matteo Renzi che si candida a guidare il Partito e poi, chissà, il Paese. Lo sanno Mugnaioli e Guicciardini. E gli iscritti democratici, che chiedono prospettive di futuro, lo sanno?
Ah, s'io fosse fuoco