Ci siamo. Ora sì che le elezioni sono finite e gli elettori si sono definitivamente espressi. Ora sì che si possono fare valutazioni a “urne chiuse”. E il risultato per il Partito Democratico appare chiaramente netto, seppur con qualche stecca, sul piano regionale e evidentemente negativo su quello della provincia, autoproclamatasi, con una auto sviolinata che ha fatto discutere, «la più democratica d’Italia», quella di Siena.
Alle recenti europee il Pd ha, infatti, raggiunto il suo massimo storico, il 56% dei voti dei toscani. E qui il merito è da attribuirsi al deus ex machina Matteo Renzi, capace di trascinare il partito al 40% sul piano nazionale. Con il risultato del 25 maggio scorso, poi, anche la facile conquista di Firenze, con il renziano Dario Nardella, il ritorno di Prato sotto l’ala democratica e l’affermazione in molti dei 204 comuni al rinnovo amministrativo. Con i ballottaggi però la musica democratica toscana ha registrato qualche stonatura. Le affermazioni a Follonica, Montecatini, San Giuliano Terme, Cecina e Certaldo e San Giovanni Valdarno, infatti, finiscono giocoforza in second’ordine rispetto alla stecca di Livorno, dove si è imposto il candidato del Movimento 5 Stelle. Nella città dei portuali, dei tifosi guevariani che salutano la squadra labronica col pugno chiuso, nella città dove venne fondato il Partito Comunista Italiano nel 1921, il partito, “erede politico di quella tradizione”, lascia il passo dopo 70 anni. In politica contano anche i segnali e quello livornese non è bello. Indica casomai che la sinistra più radicata non si riconosce né con gli uomini né con i metodi democratici. E gli volta le spalle.
Tonfo anche a Colle val d’Elsa per il Pd. Qui il segnale è evidentemente più locale ma egualmente dovrebbe far preoccupare i dirigenti democratici toscani e provinciali. La città, infatti, conosceva da decenni una continuità politica che ora sembra aver rifiutato. Era stata la prima in Toscana ad essere amministrata da socialisti, Vittorio Meoni e Antonio Salvetti sono figure che andrebbero studiate in ogni circolo democratico e di sinistra e si era alla fine dell’Ottocento. Nonostante la candidatura di Miriana Bucalossi (nuova alle faccende della politica), il corpo elettorale ha riconosciuto una proposta più concreta di discontinuità in un uomo già sindaco in un’altra epoca, Paolo Canocchi. Con lui si era schierato anche il sindaco comunista per antonomasia della città (basta chiedere ai colligiani con chi si era schierato il Burasca).
La sconfitta di Colle, nonostante si faccia finta di nulla, è un’autentica bocciatura per tutto un gruppo dirigente che da Colle e dalla Valdelsa ha gestito anche la politica provinciale. In questi ultimi venti anni all’ombra della città di Arnolfo sono cresciuti Marco Spinelli, già sindaco e attualmente consigliere regionale, Simone Bezzini, già consigliere comunale e ora presidente della Provincia (dovrebbe rimanere fino a fine anno in Palazzo del Governo). Ma per queste elezioni si sono mossi tutti i dirigenti valdelsani del partito dall’onorevole Susanna Cenni, al segretario provinciale, Niccolò Guicciardini.
C’è, a mio parere, più di un motivo per riflettere su una sconfitta maturata tutta dentro le mura democratiche non tanto, o non solo, colligiane. E sbaglia il segretario Guicciardini a dire, come ha fatto a caldo stamani, che «per il Pd a Colle di val d’Elsa si apre una fase di riflessione su questo voto e sul futuro». Sarà pure, ma la sensazione è che la riflessione sarebbe bene la facesse l’intero partito provinciale, a costo di un duro confronto che si profila all’orizzonte con i renziani della prima ora guidati dal sindaco di Chiusi, Stefano Scaramelli.
Al di là dei facili trionfalismi e di grandi sviolinate, infatti, in questa tornata amministrativa a Siena, il Pd è stato sonoramente battuto là dove già era stato sconfitto cinque anni fa (Casole e Pienza) da due sindaci fortemente di sinistra (Piero Pii e Fabrizio Fè), è stato sconfitto a Piancastagnaio, dove il Pd non era riuscito negli anni a far dimettere l’allora sindaco Fabrizio Agnorelli, e soprattutto è stato sconfitto a Chianciano Terme da un’opzione politica fortemente caratterizzata a destra con Andrea Marchetti, nonostante le tante risorse che la Regione Toscana, la Provincia di Siena ma anche la Banca Mps e a suo tempo la Fondazione abbiano elargito per la crisi del sistema economico termale in una logica di “Sistema”.
In queste elezioni si sono sentite dunque molte stecche democratiche e sarebbe errato ricondurle a questioni puramente localistiche. Così come appare errato continuare a fare solo “sviolinate” che non seguono uno spartito condiviso.
Ah, s’io fosse fuoco