penna-e-calamaioLa letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.

E’ ormai prossimo il fischio d’inizio dei Mondiali di calcio. Anche chi non fosse particolarmente preso dai patemi dell’avventura brasiliana, non può, però, scordare le stupende pagine scritte sul fútbul da Osvaldo Soriano, giornalista e scrittore argentino, cantore di grandi campioni e di oscuri portieri, di arbitri improbabili, di allenatori in pensione. Imperdibile Il rigore più lungo del mondo che si legge nella raccolta di racconti intitolata, giustappunto, Fútbul. Eccone un ampio stralcio.

Il rigore più fantastico di cui io abbia notizia è stato tirato nel 1958 in un posto sperduto di Valle de Rìo Negro, una domenica pomeriggio in uno stadio vuoto. Estrella Polar era un circolo con i biliardi e i tavolini per il gioco delle carte, un ritrovo da ubriachi lungo una strada di terra che finiva sulla sponda del fiume. Aveva una squadra di calcio che partecipava al campionato di Valle perché di domenica non c’era altro da fare e il vento portava con sé la sabbia delle dune e il polline delle fattorie.

[…]

Alle tre e mezza, quando Herminio Silva ebbe ottenuto che i dirigenti delle due squadre, gli allenatori e le forze vive del popolo abbandonassero il campo, Constante Gauna si avvicinò per sistemare la palla. Era magro e muscoloso e aveva le sopracciglia tanto folte che la faccia ne sembrava tagliata in due. Aveva tirato tante volte quel rigore – raccontò poi – che lo avrebbe rifatto in ogni momento della sua vita, sveglio o addormentato. Alle quattro meno un quarto, Herminio Silva si dispose a metà strada tra la porta e il pallone, portò il fischietto alla bocca e soffiò con tutte le sue forze. Era così nervoso e il sole gli aveva tanto martellato sulla nuca che quando il pallone partì in direzione della porta sentì gli occhi rovesciarglisi all’indietro e cadde di spalle schiumando dalla bocca. Dìaz fece un passo in avanti e si buttò sulla destra. Il pallone partì roteando su se stesso verso il centro della porta e Constante Gauna indovinò subito che le gambe del Gato Dìaz sarebbero riuscite a deviarlo di lato. El Gato pensò al ballo della sera, alla gloria tardiva, al fatto che qualcuno sarebbe dovuto accorrere per mettere in corner il pallone che era rimasto a rotolare in area. El petiso Mirabelli arrivò per primo e la mise fuori, contro la rete metallica, ma Herminio Silva non poteva vederlo perché stava a terra, si rotolava in preda a un attacco di epilessia. Quando tutta l’Estrella Polar si rovesciò sopra al Gato Dìaz per festeggiare, il guardalinee corse verso Herminio Silva con la bandierina alzata e dal muretto su cui eravamo seduti lo sentimmo gridare: “Non vale! Non vale!” La notizia corse di bocca in bocca, gioiosa. La respinta del Gato e lo svenimento dell’arbitro. A quel punto sulla strada tutti aprirono damigiane di vino e cominciarono a festeggiare, sebbene il “non vale” continuasse ad arrivare balbettato dai messaggeri con una smorfia attonita. Fino a quando Herminio Silva non si fu rimesso in piedi, sconvolto dall’attacco, non arrivò la risposta definitiva. Come prima cosa volle sapere “che è successo” e quando glielo raccontarono scosse la testa e disse che bisognava tirare di nuovo perché lui non era stato presente e il regolamento prescrive che la partita non si possa giocare con un arbitro svenuto. Allora el Gato Dìaz allontanò quelli che volevano pestare il venditore di biglietti della lotteria al Deportivo Belgrano e disse che bisognava sbrigarsi perché la sera aveva un appuntamento e una promessa e andò di nuovo a mettersi in porta. Constante Gauna non doveva avere molta fiducia in se stesso perché propose a Padìn di tirare e solo dopo andò vero la palla mentre il guardalinee aiutava Herminio a stare in piedi. Fuori si sentivano strombazzamenti festosi dei tifosi del Deportivo Belgrano e i giocatori dell’Estrella Polar cominciarono a ritirarsi dal campo circondati dalla polizia. Il tiro arrivò a sinistra e el Gato Dìaz si buttò nella stessa direzione con un’eleganza e una sicurezza che non mostrò mai più. Constante Gauna alzò gli occhi al cielo e cominciò a piangere. Noi saltammo giù dal muretto e andammo a guardare da vicino Dìaz, il vecchio, che rimirava il pallone che aveva tra le mani come se avesse estratto la pallina vincente alla lotteria. Due anni dopo, quando el Gato era ormai un rudere e io ero un giovanotto insolente, me lo trovai ancora di fronte, a dodici passi di distanza, e lo vidi immenso, rannicchiato sulla punta dei piedi, con le dita aperte e lunghe. Aveva al dito una fede che non era della rubia ma della sorella del Colo Rivero, india e vecchia come lui. Evitai di guardarlo negli occhi e cambiai piede; poi tirai di sinistro, basso, sapendo che non l’avrebbe parato perché era molto rigido e portava il peso della gloria. Quando andai a prendere il pallone nella porta, si stava rialzando come un cane bastonato. Bene, ragazzo – mi disse. – Un giorno andrai in giro da queste parti a raccontare che hai segnato un goal a Gato Dìaz, ma nessuno ti crederà.

 

[Osvaldo Soriano da “Il rigore più lungo del mondo” in Fútbul. Storie di calcio]

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