La letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.
Alda Merini conobbe la cupezza del manicomio e, nell’ultimo scorcio della sua vita, i riflettori di una quasi pop star. Ebbe la diffidenza di intellettuali e critici letterari. Talvolta a ragione. Nel suo fluviale scrivere c’è di tutto, anche cose modeste, qualche volta brutte. Ma in quel flusso continuo di parole possono pescarsi autentiche pagliuzze d’oro. E allora – scrisse Giovanni Raboni – «avvincente, perentoria, irrecusabile è la chiamata di questa voce che sembra rivoltare la pietra di un sepolcro». E’ vero. L’intensità, la forza, la tensione di quei versi ghermiscono il lettore, gli rivelano – sempre per citare Raboni – «crepe istantanee e terrificanti, bagliori di un altro mondo».
O cupo inverno che assalti con questi scudisci di neve
il tono del mio canto che è diventato perla
rotolando nei fossi di ignobili condanne
mentre regali a tutti il vanto della vita
così come compete ad altri la giustizia
agli ingiusti, agli impropri e a coloro che vendono merce
usata dai tuoi occhi, ciò che hai veduto e nascosto
nelle mura delle dita dove saltano i chiodi
di una cosa che dura nel margine della mente…
Aprite a me i confini di una netta canzone
che spiri tra le foglie dove muore il vagito
della donna che incalza pur con vivido piede
sulle tracce degli altri ormai dure e serrate.
[Alda Merini, da “Superba è la notte”]