penna-e-calamaioLa letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.

Pazza estate. I meteorologi non prendono più impegni. Piove in continuazione e quando non piove era stato detto che sarebbe piovuto. Ergo: turisti, villeggianti, albergatori, venditori di paccottiglia turistica e di viste mozzafiato… tutti imbufaliti. Proviamo, dunque, a buttarla in poesia. Con un testo del crepuscolare Corrado Govoni (1884-1965), colui al quale – come annotò Montale – piaceva tradurre i fenomeni della realtà a “fiabesco inventario privato”. Appartengono a questa intimo universo anche i versi de “L’acquazzone”.

 

Di nubi grige a un tratto il cielo fu

e il tuono brontolò con voce d’orco.

Si cacciò avanti, lungo lo stradone

carta foglie ed uccelli il polverone.

Si udirono richiami disperati

tonfi di imposte e d’usci sbatacchiati.

Si videro donne lottare in un prato

con gli angeli impauriti del bucato.

Poi seminò la pioggia a piene mani

tetti e vie di danzanti tulipani

tagliò il paesaggio, illividì ogni cosa

in un polverio d’acqua luminosa.

Quando si stava inebetiti e fissi

come sull’orlo d’infuocati abissi

dove il mondo pareva andar sommerso

il cielo sulle cose era già terso

e nei vetri appannati del tinello


isorrise il paese ad acquarello

sulla campagna dolcemente crespa

ronza la chiesa d’oro come vespa.

Non rimaneva dell’orrendo schianto

che il gocciolio di musicale pianto

della gronda, già buono già tranquillo;

lo raccolse morente il bruno grillo.

Coi tamburini gracili di pelle,

le rane lo portano alle stelle.

 

[C. Govoni, “L’acquazzone”, da Il flauto magico, 1932]