La letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.
Il Demanio darà in concessione i fari dismessi. Una notizia di quelle che fanno fantasticare. Chi di noi non si è immaginato almeno una volta guardiano del faro. In Italia c’è stato uno scrittore, pressoché dimenticato, che da questo punto di vista ha dovuto fantasticare meno di altri. Sto parlando di Raffaello Brignetti (1921-1978), nato all’Isola del Giglio, cresciuto all’Isola d’Elba (il babbo era guardiano del faro di Forte Focardo), vissuto per diversi anni nella Torre Medicea di Marciana Marina. Brignetti fu un notevole autore di pagine dedicate a racconti di mare, con tutto ciò che di misterioso, affascinante, vero e immaginifico il mare rappresenta. Da “Il gabbiano azzurro” (Premio Viareggio 1967) ecco uno stralcio di racconto che narra il ritardo dell’accensione di un faro perché i due guardiani impegnati in una rissa furibonda.
L’ambiente della lanterna non aveva comunicazioni possibili, nessun passaggio oltre quello della scaletta che conduceva di sotto: e questo escluso, dato il coltello. In alto la cupola, infatti, bianca, di ottone smaltato e chiuso; e attorno le lastre di vetro, chiuse anch’esse, con sotto una porta senza chiave; di fuori, un terrazzo con una ringhiera di ferro, all’aperto sì ma inaccessibile e senza vie d’uscita come la stessa lanterna; e in basso il pavimento rosso ad olio con la sola apertura sulla scaletta di ferro. Il guardiano apriva lo sportello della lampada, guardava in giù e intanto verificava con la mano i beccucci e le calzette di amianto. Improvvisamente si chinava verso la botola della scaletta: adesso cercava di chiuderne il passaggio, forzava il legno da un gancio; ma no, anche questo era stato bloccato in qualche modo: l’altro veniva, ora, all’ultima operazione; certo era assicurato, lo tratteneva un groppo di ferro. L’uomo si spezzava le unghie sul legno ma l’apertura restava. Lentamente, con calma, come per associare la situazione attuale a quella di tutte le sere, egli prendeva ora i fiammiferi, ne provava uno, lo accendeva e faceva sorgere una piccola fiamma nell’interno della lampada. La fiamma trattenuta dalle calzette vibrava e si chiariva; brillava: cresceva via via in quattro direzioni di luce anche sulla scaletta di ferro e nella stanza di sotto. Infine la luce prendeva un passo rotante nel giro della lampada, e usciva in quattro fasci sul mare come una croce.
[R. Brignetti, da “Altri equipaggi”, in Il gabbiano azzurro]