La letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.
La domanda ricorre a cadenze regolari: il romanzo è morto? In alcuni casi cade anche l’interrogativo e il quesito diviene asserzione, ora allarmante, ora compiaciuta. Il dibattito è aperto da un bel po’. Da quando si ritiene che il romanzo, nato come “prosa del mondo”, non riesca più a raccontare il mondo, ad esserne conoscenza e coscienza. Insomma, anche il racconto letterario (che in termini quantitativi e di affannoso mercato non appare affatto morto) sembrerebbe essersi perduto nella frammentazione, nella liquefazione della realtà. Ne discutono periodicamente scrittori, studiosi, critici letterari. Ha detto la sua pure il Nobel Mario Vargas Llosa, con un appassionato intervento che non fa del tema una questione per addetti ai lavori, ma problema sociale e di civiltà, perché «nella letteratura gli esseri umani si riconoscono e dialogano».
[…] Incivile, barbaro, orfano di sensibilità e stentato di parola, ignorante e greve, negato per la passione e per l’eros, il mondo senza romanzi, questo incubo che tento di delineare, avrebbe come tratto principale il conformismo, la sottomissione generalizzata degli esseri umani a ciò che è stabilito. Anche in questo senso sarebbe un mondo animale. Gli istinti rudimentali deciderebbero la routine quotidiana di una vita aggravata dalla lotta per la sopravvivenza, dalla paura dell’ignoto, dal soddisfacimento delle necessità fisiche, in cui non vi sarebbe spazio per lo spirito e in cui alla monotonia soffocante del vivere si accompagnerebbe come un’ombra sinistra il pessimismo, la sensazione che la vita umana è quello che doveva essere e che sempre sarà così, e che niente e nessuno potrà cambiare lo stato delle cose.
[…] I mezzi audiovisivi monopolizzano sempre di più il tempo che gli esseri viventi dedicano allo svago e al divertimento portandolo via alla lettura, consente di immaginare, come possibile scenario storico del futuro, una società modernissima, affollata di computer, schermi e altoparlanti, e senza libri o, più precisamente, in cui i libri – la letteratura – è diventata come l’alchimia nell’era della fisica: una curiosità anacronistica, praticata nelle catacombe della civiltà mediatica da esigue minoranze nevrotiche.
[…] Se vogliamo evitare che con i romanzi scompaia, o rimanga accantonata nel ripostiglio delle cose inutili, quella fonte che dà spazio alla fantasia e all’insoddisfazione, che raffina la nostra sensibilità e ci insegna a parlare con forza espressiva e con rigore, e rende noi più liberi e le nostre vite più ricche e intense, bisogna agire. Bisogna leggere i buoni libri e incitare a leggere, e insegnare a farlo, quelli che vengono dopo di noi – nelle famiglie e nelle aule, nei media e in tutti i luoghi della vita comune – come un’occupazione irrinunciabile, perché è quella che imprime la propria impronta su tutte le altre, e le arricchisce.
[Mario Vargas Llosa, “E’ pensabile il mondo moderno senza il romanzo?” in Il romanzo, Einaudi]