La letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.
Crisi dell’Occidente – andiamo ripetendo da diversi anni – dei suoi modelli culturali, economici, etici. E crisi delle persone che questa parte di mondo abitano e di cui percepiscono il drammatico declino. Un nuovo male di vivere, ma nemmeno nuovo più di tanto, poiché ogni trapasso d’epoca pone il problema di una ricerca di senso. Dopo la prima guerra mondiale Thomas Stearns Eliot rappresentò la fine di una civiltà nel poema “La terra desolata”, a simboleggiare, appunto, aridità, desolazione, la condizione esistenziale dell’uomo costretto a vivere in un mondo ormai privo di riferimenti. Lo stesso motivo ritornerà nella lirica “Gli uomini vuoti”, scritta tra il 1923 e il 1925, emblema di una generazione depauperata di valori e speranze.
Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ahimè!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell’erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra vetri infranti
Nella nostra arida cantina
Figura senza forma, ombra senza colore,
Forza paralizzata, gesto privo di moto;
Coloro che han traghettato
Con occhi diritti, all’altro regno della morte
Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime
Perdute e violente, ma solo
Come gli uomini vuoti
Gli uomini impagliati…
[T.S. Eliot, da Gli uomini di paglia]