La letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.
Chi transitasse da Badia a Settimo, nella piana fiorentina, si fermi all’Abbazia dei santi Salvatore e Lorenzo (bella testimonianza di civiltà monastica) per rendere omaggio a Dino Campana. Qui, infatti, riposa il poeta con le sue ossa tanto maltrattate in vita e pure da morto, finché nel 1946 non trovarono requie in questa penombra abbaziale. Alla mesta cerimonia della traslazione erano presenti Eugenio Montale, Alfonso Gatto, Carlo Bo, Ottone Rosai, Vasco Pratolini e tanti altri, quasi a riparare i torti che anche il mondo della cultura aveva inflitto al “matto” di Marradi. Al poeta del sogno e della veglia, dell’annientamento e della purezza, dell’allucinazione e del trasalimento.
La Chimera
Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina O Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfii rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.
[Dino Campana, “La Chimera” in Canti orfici]