La letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.
Ebbi modo di conoscere Sebastiano Vassalli una trentina d’anni fa. Schivo, taciturno, pensoso. Così ha vissuto e così si è congedato da circa un mese. Prendo dagli scaffali un suo libro del 1996, “Cuore di pietra”, il racconto della vita di una casa, in una città di provincia, dagli inizi del Regno d’Italia ai giorni nostri. Un po’ romanzo storico, un po’ amara riflessione sul tempo che cancella tutto, mentre gli Dei si divertono sommamente allo spettacolo degli uomini e dei loro affanni.
«Ogni tanto gli Dei tornano ad affacciarsi sul golfo della pianura delimitato dalle montagne lontane, e applaudono e gridano stando sospesi lassù sopra le nostre teste, mentre assistono alle rappresentazioni di un autore che sa mescolare come nessun altro la tragedia e la farsa, e che si esprime con le vicende degli uomini pur restandone assolutamente estraneo: il tempo! Se gli uomini non esistessero sulla terra, lo spettacolo del tempo si ridurrebbe a ben poca cosa; ed è per questo motivo che gli Dei li hanno fatti esistere. Gli Dei di Omero – è risaputo – sono degli eterni bambini, e tutto li diverte: anche l’aggregarsi e il dissolversi delle nuvole, anche il cadere delle foglie in autunno e lo sciogliersi delle nevi in primavera hanno il potere di fargli schiudere le labbra, e di far scintillare i loro denti immortali; ma perché l’universo intero rimbombi delle loro risate bisogna mettere in scena ciò che il tempo sa fare con gli uomini, dappertutto e in quella pianura circondata dalle montagne che è, appunto, il loro teatro. Bisogna mostrargli la nostra protagonista com’è adesso, vuota e buia e con i suoi saloni ingombri di calcinacci, di siringhe, di sterchi, di coperte insanguinate, di frammenti di vetro… Oppure, bisogna fargli vedere l’immensa pianura percorsa in ogni direzione da milioni di quei contenitori di metallo che noi chiamiamo automobili, e le piazze e le strade della città di fronte alle montagne, dove passarono cantando e schiamazzando i cortei delle bandiere rosse e quelli delle camicie nere, divenute percorsi obbligati per i nuovi mostri meccanici. Tutto sembra reale, adesso come allora e come sempre, ma è uno spettacolo del tempo: un’illusione, che di qui a poco svanirà per lasciare il posto a un’altra illusione. È perciò che le risate degli Dei rimbombano e rotolano da una parte all’altra del cielo con i temporali d’aprile, e che le loro grida d’incitamento spazzano la pianura con i venti d’ottobre. I personaggi di questa storia che è finita, e gli altri delle infinite storie che ancora devono incominciare, le loro futili imprese, le loro tragicomiche morti non sono altro che alcune invenzioni tra le tante di quell’eterno, meraviglioso, inarrivabile artista che è il tempo. È lui che ci parla con la nostra voce, che ci guida, che manipola i nostri desideri e i nostri sogni e alla fine cancella le nostre vite per sostituirle con altre vite, di altri uomini che noi non conosceremo mai. È lui che ci fa credere di essere il centro e la ragione di tutto, mentre ci ispira comportamenti e pensieri così stupidi che gli Dei ne ridono ancora quando ritornano lassù nel loro eterno presente, abbandonandoci agli sbalzi d’umore e ai capricci del nostro autore e padrone. Un suo battito di ciglia, e l’uomo che ha scritto questa storia non esisterà più; un altro battito di ciglia, e al posto della grande casa sui bastioni ci sarà un edificio di cristallo in cui si rifletteranno le nuvole e le montagne lontane; un terzo battito di ciglia, e i contenitori chiamati automobili saranno a loro volta scomparsi… Perché no? Soltanto gli Dei sono immortali, mentre tutto ciò che esiste nel tempo è destinato a perire. Homo humus, fama fumus, finis cinis.»
[da Cuore di pietra di Sebastiano Vassalli]