La letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.
Il prossimo 6 agosto sono 70 anni dalla bomba su Hiroshima. La follia, talvolta, vorrebbe essere persino spiritosa. Così che alla bomba avevano dato il soprannome di ‘Little boy’. Era lunga 3 metri per 71 centimetri di diametro, 4.400 chilogrammi di peso, sprigionò una potenza pari a 15mila tonnellate di tritolo. I morti furono 150.000, non restarono che ombre.
Roberto Roversi, un poeta che spesso ebbe a riflettere sulle derive della storia, nel poema di forte tensione civile “Dopo Campoformio”, così levò il suo fermo e asciutto lamento funebre a ricordo di Hiroshima.
La bomba di Hiroshima
bruciò troncando le ultime parole.
L’ossa calcinate
riverberano il cielo senza fiato.
L’erba per sempre ha il verde rovesciato,
l’albero ha il suo tronco congelato
per sempre, la natura scompare
per sempre, nell’orrore dell’uomo
dentro un fuoco di morte.
File di carri cercano le frontiere,
appena cadute le barriere
di filo spinato
la gente beve nelle mani screpolate
e corre forte sperando lontano
per la pianura, macerie a frugare
macchie nere di lava paura;
nel sole la guerra è seppellita
con gli ultimi soldati in pietra dura.
Nel Giappone una città nuova
cresce adesso funebre violenta
sopra uomini esanimi che al sole
si scuoiano nei fossi.
E qua è l’Italia, non intende, tace,
si compiace di marmi, di pace
avventurosa, di orazioni ufficiali,
di preghiere che esorcizzano i mali.
Ma nel mondo le occasioni perdute
sono i sassi buttati dentro il mare;
nei luoghi devastati dalla lebbra
o accucciati nell’ombra a imprecare
non un granello di polvere nel fondo
dell’occhio incantato che li domina.
Tutti i morti ormai dimenticati.
Il ventre della speranza è schiacciato
nella polvere da una spada antica;
anni interminabili, senza amore,
inchiodano col fuoco alla fatica.
[Roberto Roversi, “La bomba di Hiroshima” da Dopo Campoformio]