penna-e-calamaioLa letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.

Tra entusiasmi, polemiche, contestazioni e mirabilia apre Expo 2015 con un titolo indubbiamente significativo: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Tematiche che dovrebbero entrare nel vivo delle contraddizioni del nostro mondo, dove 870 milioni di persone soffrono di denutrizione, mentre ogni anni vengono sprecati 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, e 2,8 milioni sono i decessi per malattie legate a obesità e sovrappeso. Se dunque l’Expo riuscirà ad essere non soltanto una friggitoria universale (ivi compresa la relativa aria fritta dei discorsi sul ‘futuro sostenibile’), l’appuntamento avrà un suo senso. Si dovrà pur trovare, infatti, un equilibrio decente tra disponibilità e consumo delle risorse.

Per questa rubrica, che ama rapportare l’attualità alle suggestioni della letteratura, non può esserci di meglio, in tema di cibo, agricoltura, natura, che richiamare il Virgilio delle “Georgiche”. Non solo manuale per agricoltori, ma anche esaltazione del lavoro dei campi come palestra di virtù civili, di contributo al bene comune, di complicità tra uomo e natura.

 

Nel cielo del Nord con sinuose curve

scorre il Dragone, come un fiume tra le Orse; le Orse

che temono d’immergersi nell’acqua dell’Oceano.

Là, come dicono, un buio profondo tace sempre

e al venire della notte più le tenebre s’addensano,

o l’Aurora torna quando da noi s’allontana,

e riporta il giorno; e quando il primo sole

respira su noi con i cavalli ansanti,

là Espero rosseggiante accende i lumi della sera.

Qui possiamo scorgere nel cielo ancora incerto

Il tempo del mietere e quello del seminare,

e il tempo di prendere il mare e di spingervi le navi,

o di abbattere il pino dei boschi.

E non seguiamo invano il nascere degli astri

e il loro tramontare, e le quattro stagioni dell’anno.

Quando cadono fredde le piogge, al chiuso,

il contadino è più assiduo in quei lavori

che quasi trascura se il cielo è sereno;

e l’aratore affila il dente ottuso del vomere,

o scava da un albero vasi di legno,

o segna il bestiame, o numera i mucchi di grano

o aguzza i pali e le forche e prepara giunchi d’Ameria

per legare la tenera vite. Allora è tempo

d’intrecciare leggeri canestri con verghe di rovo,

e di brunire al fuoco il grano e romperlo con la pietra.

Le leggi divine consentono nei giorni di festa

(e così le umane) di derivare l’acqua nei canali,

di alzare siepi ai campi, di tendere insidie agli uccelli,

di bruciare gli sterpi e tuffare il gregge nei fiumi:

spesso qualcuno porta olio e frutta sul piccolo asino

e torna dalla città con un pezzo di pece o una mola.

La Luna apre giorni fecondi al lavoro dei campi.

[…]

 

[da Virgilio, Georgiche, Libro I, traduzione di Salvatore Quasimodo]