La letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.
“Morte di un commesso viaggiatore” è un dramma scritto da Arthur Miller nel 1949, come critica al sogno americano, denuncia verso una società sempre più cinica che non ha considerazione nei confronti della persona ma che – pena l’emarginazione – mette il successo, la produttività e il denaro alla base dell’esistenza umana. Willy Loman, l’esausto commesso viaggiatore vittima di un sistema fondato sulle leggi inesorabili della produttività, ha ancora una sua attualità. Certo, non sono più i tempi del maccarthismo, però tutti noi, venditori di se stessi, cerchiamo di piazzare in ogni modo quello che non siamo. Inseguiamo nell’apparenza una legittimazione sociale. Perché se non emergi non sei nessuno. Pure noi eroi tragici. Pure noi suicidi, almeno nell’anima.
«Charley – Non calunniate quest’uomo. Tu non hai capito: Willi era un commesso viaggiatore. E se tu fai il commesso viaggiatore non vivi sulla terra. Non sei il tipo che avvita un bullone o mi legge gli articoli del codice o mi prescrive la ricetta. Tu lavori così, per aria, aggrappato a un sorriso o al lucido che hai sulle scarpe. E quando nessuno ti sorride più, è la fine del mondo. Da quel momento cominci a sbrodolarti il vestito e addio, sei finito. Non calunniate quest’uomo. Un commesso viaggiatore deve sognare. I sogni fanno parte del mestiere.
[…]
Happy – Farò vedere a te e a tutti quanti che Willi Loman non è morto per niente. Non sbagliava i sogni. Aveva l’unico sogno che un uomo può avere – diventare il primo in quello che fa. Lui non è riuscito a realizzarlo qui: lo realizzerò io per lui.
[…]
Linda – […] Perdonami, caro, non mi viene da piangere. Chi lo sa perché, non mi viene da piangere. Non capisco. Perché l’hai fatto? Aiutami Willy, non mi viene da piangere. Mi sembra che tu sia partito per il solito giro. Sto qui ancora ad aspettarti. Willy caro, non mi viene da piangere. Perché l’hai fatto? Mi sforzo, mi sforzo, ma non riesco a capire, Willy. Ho pagato l’ultima rata della casa oggi. Oggi caro. E la casa è vuota. Abbiamo pagato tutti i debiti. Abbiamo pagato tutti i debiti.»
[da Morte di un commesso viaggiatore di A. Miller]