Con uno sguardo al di là della cifra esosa di buonuscita per il dg Vigni (del resto anche il Trota prenderà 40mila euro di dolci dimissioni dal Pirellone) ciò che colpisce è il succedersi delle vicende, delle promesse spese, delle parole e degli slogan urlati, delle responsabilità intrecciatesi, delle accuse e dei patti di non belligeranza susseguitisi. Tutto questo trasforma la vicenda in una buona novella che buona non è ma che di paradossi vive e si alimenta in un circo chiuso per propria volontà. Per non aprire, forse per ragioni di comodo, le porte ad una realtà, quella esterna e quella fuori e dentro le mura di una città, fatta di reali sacrifici e di gente che lotta per uno stipendio o lotta per una buona uscita che sia solamente garantita dopo anni di stipendi al limite del dignitoso. E allora qualche dubbio viene. Sull’opportunità di scendere in piazza quando si lavora in un call center di banca part time e a 1200 euro al mese, quando per anni si è avuto agevolazioni anche sulle gite fuori porta e i buoni pasto per tutte le stagioni, quando allo sportello le persone ti supplicavano per mutuo agevolato, quando hai lavorato in una bolla di sapone in grado di farti vedere a colori il grigio di un mondo del lavoro, quello reale, fatto di tagli veri allo stipendio, casse integrazioni annuali, pensioni in forse, pagamenti rateizzati e pagamenti mancati. Perché quel grigio è quello che spinge le persone a non intravedere un futuro che ha già perso la pretesa del colore. Ce ne sono tante che non hanno scelto di farsi difendere da un sindacato e ce ne sono tante per cui nessuno cura interessi che dovrebbero essere primari. Ce ne sono tante e molto di più di quelle 8mila scese in piazza per una manifestazione. Ce ne sono poche che se lo ricordano, oggi, quando i dirigenti prendono una buona uscita da 5,8 milioni di euro e una lotta annunciata come epocale si ferma in meno di un mese. Ce ne saranno pochi, domani, se le parole dei titoli in borsa, spread, default riempiranno le bocche, le urla, gli slogan, le rivendicazioni, le vertenze svuotando invece la mente della capacità di guardare un metro al di là dei propri interessi, della propria realtà. Se questo è il frutto di una società “tecnica” è forse il caso di abbandonare il tecnicismo dei termini perché le parole speranza, futuro e dignità stanno acquisendo sempre più un’accezione di rottura con i tempi che corrono e gli attori che recitano nei palazzi e nelle piazze. Altrimenti rimane il silenzio.
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