Quello che siamo soliti chiamare ‘il bene comune’ già secondo Tito Livio costituiva «la grande catena che lega insieme gli uomini nella società». Il tema è molto più che attuale, è pressante. In considerazione di quanto grave sia la crisi che su scala planetaria investe la vita delle persone. Non c’è àmbito, infatti, che non abbia l’esigenza di ripensare una propria ragione d’essere in ‘questo’ mondo: l’economia, la scienza, l’istruzione, la democrazia, l’ambiente, il lavoro, la filosofia, la comunicazione, finanche le religioni. La questione, prima ancora che specifica per ciascuna di queste sfere, è di carattere generale. Cioè riconducibile all’esigenza di riscrivere regole condivise, princìpi etici che mirino, appunto, a una comunanza del bene.
Tutto ciò necessita, però, di una cultura che vada a in/formare i singoli, la società, le istituzioni, i governi, le pluralità in cui l’umanità si esprime. Tanto prioritario è il problema che anche il Salone Internazionale del Libro di Torino ha scelto, quest’anno, il tema conduttore del Bene (“Bene in vista” è lo slogan) ritenendo come la crisi globale sia innanzitutto di natura morale e culturale e che, quindi, sia indispensabile provare a compilare una sorta di catalogo di valori, esperienze, sensibilità di segno positivo da cui ripartire. Pertanto: basta con la negatività (che non significa ignorare la complessità dei problemi) a tutto vantaggio di un ‘fare bene’ certe cose che aiutino ad uscire da una emergenza storica.
Coerente con tali contenuti anche la scelta di avere il Vaticano come Paese ospite del Salone. In un momento in cui la Chiesa, grazie al carisma e al fervore pastorale di papa Bergoglio (il papa venuto dalla periferia del mondo), sta riposizionandosi nella società con un rinnovato processo di inculturazione del messaggio evangelico, assunto nella sua radicalità di amore e di giustizia. Dunque di bene comune.
Del resto esistono molte persone di buona volontà, non necessariamente credenti, che desidererebbero lasciare il mondo nel segno della speranza. Viene in mente, al proposito, il vecchio Simeone (una delle figure più commoventi del Vangelo) che, conosciuto il Messia, dice di potersi congedare in pace, perché finalmente ha veduto la salvezza preparata davanti a tutti i popoli. Ecco, qualcosa di simile vorrebbero tutti coloro che ancor prima di una salvezza escatologica, auspicano il compimento delle salvezze che urgono nell’aldiqua della vicenda umana. Se non proprio un atto di fede, per lo meno di fiducia. L’un termine spiega l’altro. Uguale è il significato, uguale il sentimento che ne dà una ragione.