Sulle tavole letterarie il vino più servito è indiscutibilmente quello di Orazio. Autore quanto mai travisato (anzi, travasato) nello stereotipo di un semplificato epicureismo; a fronte, invece, di una personalità tormentata dalla vita e soprattutto dall’idea della morte. E siccome il cuore può arrovellarsi e immalinconire negli irrisolti enigmi dell’esistenza “allora – recitava il poeta – tu laggiù consolerai il male col vino e il canto”.
Si ricorderà, peraltro, come una volta il vino venisse abitualmente usato per disinfettare le ferite, e quindi, verrebbe facile aggiungere che fosse e continui ad essere taumaturgico anche per le escoriazioni dell’anima. Charles Baudelaire si spinse a dire che Dio, preso dal rimorso, aveva creato il sonno per annegare il rancore e cullare l’indolenza di tutti i vecchi che silenziosamente muoiono, e “l’Uomo vi aggiunse il Vino, sacro figlio del Sole”. Il maledetto Charles non mancò pure di enfatizzare il potere visionario che dona quel “sacro figlio del Sole” (lui, magari, lo abbinava a una tiratina di oppio), tanto che “la più sordida stamberga si riveste di un lusso miracoloso e fa sorgere più d’un portico favoloso nell’oro del suo vapore rosso”.
Insomma qualche reiterato bicchiere costituiva una bella terapia contro la depressione. Più lo tiravi giù e più emergeva l’inconscio. Peccato che poi giunse la psicoanalisi, concorrente sleale ed incolore dello “spirito”. Così i disgraziati che si addormentavano sui tavoli delle osterie cominciarono a potersi permettere il divanetto del dottor Freud e in una stupefacente inversione siamo arrivati al punto che una bottiglia di Brunello possa costare molto più di una seduta psicanalitica (giustamente, direte voi: non è certo paragonabile la fatica di pigiare l’uva con la melliflua strizzatina di un altrui cervello).
Ci sono stati comunque scrittori che hanno saputo fare buona sintesi tra vino e scienza freudiana. Si pensi a Svevo e a quel suo Zeno Cosini, il quale, invitato alla cena che preludeva le nozze della donna un tempo amata e mai dimenticata, bevve esageratamente per far uscire da se stesso un altro io arrogante ed astioso: “Per l’effetto del vino, quella parola offensiva accompagnata da una risata generale, mi cacciò nell’animo un desiderio veramente irragionevole di vendetta”.
Oggi, nell’epoca del politically correct e della società “liquida”, il bere (quello chic della morigeratezza, l’altro più triste dell’etilismo) è diventato tema da convegni. E poiché la ragione è di natura astemia finisce sempre in una sbornia di parole.