L’assurdità più drammatica dell’esperienza umana è il dolore. Quel dolore paradossalmente ‘necessario’ per conoscere appieno le cose della vita. Giacomo Leopardi che molto ebbe da riflettere su questo tema, scrisse: “Da principio il mio forte era la fantasia. Non avevo ancora meditato intorno alle cose e della filosofia non avevo che un barlume. La mutazione totale mi inseguì dentro un anno – cioè il 1819 – dove, privato dell’uso della vista e della continua distrazione della lettura, cominciai a sentire la nuova infelicità in un modo assai più tenebroso. Cominciai ad abbandonare la speranza, a riflettere profondamente sulle cose, a divenire filosofo di professione, da poeta ch’io era, a sentir l’infelicità certa del mondo, in luogo di conoscerla”. Ecco svelarsi la sofferenza come chiave di accesso all’apprendimento dell’esistere, alla profondità dell’anima (usiamo pure questo termine generico con cui si è soliti definire quanto dentro di noi avvertiamo – ànemos, ovvero soffio – che giustappunto come il vento è reale ma imprendibile). Eh già…, le cose della vita. Diceva Virgilio: “sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt”, sono lacrime delle cose che toccano la mente dei mortali. Che poi non è cosa diversa da quanto affermerà Montale nel celebre “Spesso il male di vivere ho incontrato: / era il rivo strozzato che gorgoglia, / era l’incartocciarsi della foglia / riarsa, era il cavallo stramazzato”.
Se tale è l’esoso prezzo per accedere alla conoscenza, non significa certo che il male, quando possibile, non debba essere combattuto, evitato. curato. Bando, dunque, alle macerazioni romantiche e (altro paradosso che talvolta va ad insinuarsi nelle nostre esistenze) al ‘compiacimento’ del dolore. Dinanzi al male è bene essere razionali o come direbbe qualcuno intellettualmente onesti. Pertanto si sappia che gli analgesici (anche quelli intellettuali) non risolvono il problema ma possono attenuarlo; che ha poco senso creare cordoni sanitari e ghetti illudendosi che il male non entri mai in contatto con i legittimi piaceri; anzi, non conviene emarginare la sofferenza, è meglio che conviva e ‘socializzi’ con la vita normale. In definitiva giunse a queste conclusioni anche lo stesso Leopardi (leggasi La quiete dopo la tempesta) quando ci avverte su come “il duolo / spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto / che per mostro e miracolo talvolta / nasce d’affanno, è gran guadagno”. Insomma, il dolore è connaturale all’esistenza, tuttavia quel nostro piacere che per prodigio e per miracolo dal dolore talvolta nasce, è pur sempre un apprezzabile profitto.