SIENA – A mia nonna piaceva Pio Dodici. Papa Pacelli. Ne parlava come di un Santo, e lo preferiva anche a Giovanni XXIII, che solo per il fatto di essere Papa meritava tutta la devozione e il rispetto di questo mondo, ma le sembrava un po’ troppo alla mano, per il ruolo che rivestiva.
Pio XII, invece, era quanto di meglio potesse immaginarsi una cattolica militante e praticante come lei… Intanto, aveva scomunicato tutti quelli che votavano PCI, che sarebbero finalmente bruciati all’inferno (la carità cristiana era anche questa, evidentemente), ma soprattutto era un Papa che non rideva mai: un tipo severo, ieratico, tutt’uno con il dogma e la Maestà che rappresentava.
A mia nonna piaceva quella Chiesa lì. Secolare, e non secolarizzata; e tra Galileo e il Cardinal Bellarmino, non avrebbe avuto nessun dubbio a stabilire chi fosse dalla parte della ragione, e chi del torto. Era del 1911, e nel mondo dove era nata e cresciuta gli avevano insegnato che la fede era una, e una sola: quadrata, inflessibile e intransigente, come “l’obbedir tacendo, e tacendo morir” che raccomandavano ai soldati, prima di mandarli all’assalto.
Dove il mondo era un posto abbastanza tetro e disagiato, pieno di sofferenze indicibili, e la gente moriva come mosche per cose da niente… E che per queste disgrazie, l’unico rimedio fossero le preghiere, i digiuni, le processioni. E l’unica arma a disposizione, invocare un miracolo, magari sulla reliquia di un Santo. E’ un mondo che ho fatto in tempo a conoscere anch’io.
Un po’ fede, molta devozione ma anche tanta superstizione: le donne si annodavano il fazzoletto alla testa e non mancavano una “Funzione”, mentre noi si faceva a gara per servir Messa e per accompagnare il Prete nella Benedizione delle case, dove regalavano caramelle e cioccolatini. Abbastanza bravi nel preparare il turibolo dell’incenso, nel conoscere a memoria il Tantum Ergo e a suonare le campane al momento giusto, durante la Novena di Natale.
Ma (rifletto adesso) non si trattava né di fede, né di devozione, visto che quasi nessuno di noi frequenta più una chiesa da anni immemorabili. Si faceva così perchè era il mondo che girava in quel modo: “Sono cose che ce l’hai trovate”, mi diceva il povero Vincenzo. Che mi sembra , a tutt’oggi, la definizione più bella per descrivere cosa si intende per “Tradizione”.
Anche Papa Francesco, così tanto “uomo” e così poco “Santo”, non sarebbe piaciuto molto a mia nonna , al netto dell’abito che indossava. Ma il mondo di mia nonna (e di Papa Pacelli) non era il mondo che si è invece trovato davanti Papa Francesco. Dove le chiese (intese come luogo) sono ormai vuote e la Chiesa (intesa come istituzione) ha perso, almeno nella civiltà occidentale, quasi tutto il suo fascino. E la rivoluzione tecnologica che governa il mondo attuale, assoggetta l’uomo ad un razionalismo duro e puro dove alle preghiere, e al miracolo, non crede più nessuno.
Mentre a me, di Papa Francesco piaceva proprio questo. Il tentativo, forse ingenuo, di opporsi alla civiltà ormai scristianizzata con una testimonianza che era sorriso e talvolta allegria. Simpatia, e bontà cristiana che traspariva.
Non sono esperto di politica, né tantomeno di teologia. Non ho i titoli per valutare la portata storica del pontificato di quest’uomo, che era partito con un piglio da centometrista e che i problemi di salute hanno poi progressivamente spento, con una decadenza fisica che alla fine faceva quasi impressione.
Il misticismo, l’ apostolato, l’ecumenismo sono argomenti che interessano poco l’uomo che vive la vita di tutti i giorni; interessa una redenzione sociale, quello si… Ma non la Redenzione come la intende un cattolico. Ed è a quest’ uomo che Papa Francesco ha dovuto rivolgere la sua parola. Sempre più flebile, a volte persino inutile.
Così, mi sono fatto bastare la sua testimonianza, che ho sempre trovato preziosa.
E la sua presenza. Mai enfatica. A volte persino rassegnata.
Ti sia lieve la terra.