Tradizionale panfortata nel giorno di Natale al Porto di Isola del Giglio, gioco tipico delle feste che affonda chissà dove le sue radici. Come si gioca? Semplice. Organizzate più squadre ben agguerrite che si scontrano a coppie di due, magari appesantite dopo il recente pranzo, sistemate i tavoli per l’atterraggio, magari si scelga anche qualcuno sopra le parti a fare da giudice (la Mamma), e che la gara abbia inizio.
Scegliete a questo punto un bel panforte incartato e non inscatolato, che sia duro e magari alto e ricco di mandorle (rigorosamente con la buccia), canditi di cedro e arancio e ottimo miele; il componente segreto sta poi nelle spezie (un mix di pepe, cannella, noce moscata e chissà cos’altro) che si possono acquistare da un ottimo droghiere. La ricetta, nonostante risalga all’epoca della Repubblica senese, non viene tuttavia descritta dal celebre Pellegrino Artusi, capostipite di tutti i master chef, al contrario delle lavorazioni di ricciarelli e cavallucci di Siena. E men che mai lo scrittore che ha unito gli italiani con la cucina fa riferimento a questo gioco. Ma tant’è.
In ogni caso vince la squadra che mette più panforti sul tavolo, meglio ancora se fa più capanne. Cosa sono? Semplice, dalla distanza il giocatore lancia in aria il panforte che deve atterrare sul tavolo (meglio se piccolo come quello di un bar) e sporgere all’estremità opposta: se sporge è considerata, appunto, capanna; se cade a terra il punto è perso.
In questi stessi giorni si gioca al panforte anche nel senese, in particolare in Valdorcia (a Pienza viene addirittura organizzato un torneo in piazza), seppure con alcune varianti, soprattutto nell’uso di un tavolo più lungo che consente un lancio più morbido. Nel 1500 qualche centinaio di valdorciani vennero deportati al Giglio per ripopolare l’Isola dopo le scorribande piratesche del terribile Barbarossa. Probabile che si fossero portati in mezzo al mare il ricordo di qualche ricetta e di questo gioco connesso, arrivati poi fino ad oggi.
Alla fine della gara tutti si ritrovano a mangiare il dolce che, nel frattempo, sarà stato ammorbidito dalle tante cadute a terra e ridotto in morsi di bontà da accompagnare ad un buon bicchieretto di Ansonaco. Passa così il pomeriggio sospeso del Natale, quel tempo infinito che separa il pranzo con i parenti alla cena degli avanzi, tra una bevuta e una risata in compagnia degli amici. Anche questo è il Giglio in inverno. Si replica questa sera, sempre al Porto alle 23 al bar Monti e poi al Castello (bar Ajò) alla vigilia di Capodanno.