Cos’hanno in comune Giovanni Atzeni detto “Tittia”, il fantino trionfatore nei due palii di Siena di luglio e agosto, e la squadra italiana più vincente degli anni 2000, cioè la Montepaschi Mens Sana Basket Siena? Iniziamo dalle vittorie: i successi riportati sul parquet e sul tufo di Piazza del Campo sono uno splendido denominatore comune. Due realtà agli antipodi ma unite in maniera ideale da una grande cultura e una super etica del lavoro. Un nome e un cognome: Maurizio Forconi. Il preparatore atletico (dal 1999) della Mens Sana Basket è una figura entrata prepotentemente nei rumors palieschi proprio perché ha aiutato “Tittia” per quanto riguarda l’allenamento fisico da sostenere in vista delle carriere.

Come è nato il rapporto con “Tittia”?
«Nel 2011 sono stato contattato dalla dirigenza dell’Oca per seguire Giovanni Atzeni dopo un infortunio che aveva subito. Non avevo mai lavorato con dei fantini e non ci avevo mai pensato, ma “Tittia” mi venne presentato come una “persona speciale”. Dovevamo intervenire per arrivare ad un riequilibrio a livello muscolare di cui necessitava questo ragazzo. Da lì è iniziata la nostra collaborazione, che abbraccia l’aspetto integrativo, fisico e anche quello alimentare. Un lavoro che ha dato grandi frutti: già nel 2011 arrivò la sua seconda vittoria con l’Oca e poi abbiamo proseguito anche nei due anni successivi. Oggi i risultati sono sotto gli occhi di tutti».

Differenze sostanziali tra preparare un fantino e una squadra di basket. Ci sono anche dei punti in comune?
«Una squadra è composta da 12 elementi che hanno bisogno di essere seguiti singolarmente, oltre ad un potenziamento generale. La differenza sostanziale però è che con la squadra viene eseguito anche il lavoro atletico, mentre la preparazione di un fantino è focalizzata principalmente sull’aspetto psico-fisico».

Da senese, come vedi il fatto che un fantino si rivolga a un preparatore atletico? 10-20 anni fa non sarebbe successo…
«È un’evoluzione che è arrivata recentemente. Il rapporto con Giovanni è nato per risolvere un problema ma poi è andato ben oltre il recupero. È un aspetto nuovissimo: un fantino che si rivolge a un preparatore fisico è sicuramente qualcosa di profondamente innovativo e diverso».

Quanto ti senti tuoi questi successi? Specialmente con la Mens Sana Basket dove gli uomini copertina diventano i giocatori e gli allenatori…
« I primi attori sono loro, ma tutti i successi me li sento un po’ anche miei: nella pallacanestro, noi siamo  uno staff, lavoriamo in perfetta sinergia con medici, fisioterapisti, osteopati e preparatori secondo il metodo di lavoro voluto da Ferdinando Minucci e che ha permesso alla Mens Sana di essere un modello vincente ed invidiato in tutta Europa. Il successo di Giovanni è leggermente diverso, perché l’ho vissuto in maniera particolare partecipando in prima persona alla sua crescita professionale».

Siamo su due livelli diversi dunque…
 «Completamente differenti. Oltre a tutto ciò bisogna considerare il fatto che una squadra opera su un periodo che spazia e si estende lungo 10 mesi. Un fantino, a Siena, punta a due date l’anno. Una cosa che mi ha accomunato con Giovanni  è stata anche questa: quando facevo le competizioni di culturismo dovevo essere pronto in quel giorno, in quella ora e in quel minuto sul palco. Dovevo farmi trovare al top della forma. Lo stesso vale per chi monta in Piazza».

Da contradaiolo dell’Onda, come descriveresti la tua soddisfazione? È amplificata?
«Il momento più bello è stato prendermelo sulle spalle a fine Palio. Al di là di questo, comunque, la grande soddisfazione è di aver giocato una parte importante, non tanto come contradaiolo quanto come preparatore. Non sapevo che “Titta” sarebbe andato nell’Onda ma quando capitan Coppini mi ha invitato a seguire il fantino anche nei giorni di Palio è stato un fattore di grande orgoglio».

Il consiglio di Maurizio Forconi?
«Avere tanta costanza e determinazione».

Hai parlato di “determinazione”. Come si differenzia da cultura a cultura, da nazione a nazione? Visto che specialmente con la Montepaschi sei a contatto con giocatori che provengono da tutte le nazioni del mondo. E poi è arrivato un fantino italo-sardo…
«Ci sono tante differenze. Partiamo proprio da “Tittia”: lui non è un italo-tedesco, lui è un tedesco-italiano. La sua determinazione teutonica lo fa essere una sorta di soldatino nell’approccio al lavoro fisico. Alla Mens Sana ho constatato come cambino le attitudini a seconda della cultura del giocatore. Nel 1999, quando arrivai in Viale Sclavo, per gli americani il preparatore atletico era come fumo negli occhi perché era una figura che faceva sudare, che faceva lavorare, che rompeva le scatole. Però anche in quel contesto la casistica è estremamente variegata: per esempio Slay Gray arrivò qui che sbuffava, ma a fine stagione è andato via entusiasta del lavoro svolto; nello stesso anno, c’era Larry Middleton che invece era un grande volitivo e qualsiasi cosa gli si chiedeva lui la eseguiva. Eppure anche lui era americano».

Quale è invece l’approccio del preparatore al lavoro?
«Ci vuole massimo rispetto reciproco. Il preparatore non è una sorta di confessore dell’atleta, come a volte si potrebbe pensare. Il preparatore e il giocatore sono figure differenti, devono lavorare insieme, senza eccessiva confidenza e sempre con grande, grandissimo rispetto ».

Per concludere, modalità diversissime di lavoro per una squadra e per un fantino ma entrambi si dimostrano vincenti. In poche parole, quali sono i segreti di Maurizio Forconi?
«Nessuna alchimia, solo competenza, aggiornamento continuo ed un minimo di capacità gestionale. Ciò vuol dire esperienza, disciplina, elasticità e anche un pizzico di intuito».