La corte d’appello di Firenze ha confermato nella sostanza la sentenza di primo grado con cui furono condannati tre carabinieri per omicidio colposo nella vicenda della morte di Riccardo Magherini, il 40enne deceduto in strada a Firenze durante un controllo la notte del 3 marzo 2014. Condannati quindi i carabinieri Vincenzo Corni a 8 mesi, Stefano Castellano e Agostino della Porta a 7 mesi ciascuno. «E’ quello che volevamo», hanno commentato Guido e Andrea Magherini, padre e fratello di Riccardo. «La sentenza di appello conferma le condanne ed esclude responsabilità di Riccardo nella propria morte. La corte ha accolto tutte le nostre richieste – ha aggiunto l’avvocato Fabio Anselmo, parte civile per la famiglia Magherini – Anche se le provvisionali non ci restituiranno Riccardo, hanno un valore simbolico importante. Inoltre la sentenza ha escluso il contributo concausale di Riccardo nella sua morte: è morto per asfissia non per colpa propria».

Le reazioni «Moderatamente soddisfatto», si dice l’avvocato difensore dei carabinieri Francesco Maresca aggiungendo: «è una sentenza neutra che di fatto lascia le posizioni nello stesso modo in cui erano state sviluppate nel primo grado e che riequilibra il concorso di colpa. In verità mi aspettavo una posizione più netta, rimane la linea del primo grado di cui accolgo le lievi condanne ai tre carabinieri». Estranee alla vicenda due dei tre volontari intervenuti Claudia Matta e Janeta Mitrea. Il terzo, Maurizio Perini, è invece venuto a mancare durante lo svolgimento del processo di primo grado per un grave incidente.

«La giustizia ha confermato la nostra estraneità ai fatti. Sono stati anni molto duri, durante i quali abbiamo anche perso un amico nel bel mezzo della bufera processuale e questa sentenza la dedichiamo a lui. Speriamo che finalmente sia finita, almeno per noi, ma non è un momento di gioia: perché non sarà mai finita per la Famiglia Magherini, alla quale ci sentiamo molto vicini. Nessuna giustizia potrà rendere loro Riccardo e il loro dolore non sarà dimenticato».