Ad una settimana dalla morte di Emmanuel Chidi Namdi e allo spegnersi dei riflettori su questa tragedia la questione non è quella di stabilire se si sia trattato di omicidio colposo,  preterintenzionale o volontario; di questo se ne occuperanno giudici e magistrati e la difesa farà senz’altro la sua parte nel tentativo di ridurre il danno al proprio cliente. La questione è che un “signore”, un “adulto”, un “uomo” di Fermo si è sentito autorizzato e forse anche legittimato ad utilizzare l’appellativo di scimmia per rivolgersi ad una “signora”, ad una “donna”, ad una “persona” dalla pelle nera, nigeriana. Probabilmente la “personalità autoritaria” (su questo concetto si rimanda agli studi di Theodor Adorno e degli altri teorici della Scuola di Francoforte, tornati purtroppo di grande attualità) di quell’uomo bianco non si aspettava una reazione da parte dell’uomo nero che accompagnava la donna nera e forse questa reazione ha scatenato ancora di più la furia violenta dell’uomo bianco.

Questi i fatti, che hanno portato alla morte di una persona che nella vita aveva già sofferto abbastanza e che proprio ora cercava di ricostruire un po’ di normalità con la sua compagna, qui, in Italia, lontano dalla Nigeria, da Boko Haram, in Paese democratico, che si dice civile e rispettoso. Appare incredibile morire in un modo così “banale” (evidentemente tale termine è utilizzato in riferimento al noto lavoro di Hannah Arendt) per mano di “uno” che i media si sono accalorati a definire “ultras”… perché poi ultras? Perché era un tifoso di calcio? Perché aveva ricevuto dei Daspo?  Io sono iscritto all’Anpi ma non è che posso essere definito un partigiano: quella mia tessera non è esaustiva della mia identità, anzi, contribuisce solo in piccolissima parte a definire chi sono, cosa faccio, come mi comporto con gli altri.

E allora perché con lui il tam tam mediatico si è limitato ad usare la definizione ultras?

Te lo dico io perché: perché i termini corretti fanno paura, per certi versi sono considerati politicamente scorretti e, soprattutto, perché non si vuole riconoscere la presenza diffusa nella nostra società di ciò che rappresentano.  Quali sono questi termini? “Razzista” e “fascista”. Di questo si tratta! Quel tizio, quello che ha ammazzato,  è esattamente un razzista e un fascista: uno che tira le noccioline alle persone che vede per strada – come si è affrettato a dire il fratello nel tentativo di farlo passare come un simpatico buontempone -, uno  che chiama scimmia una donna, che odia gli immigrati, che picchia quelli che non la pensano come lui anche a proposito della squadra del cuore. Questo io lo chiamo fascismo… altro che ultras!

Ma il problema principale non è che quel tizio è un fascista e un razzista: il problema è che oggi fascismo e razzismo sono stati sdoganati, accolti, rientrati nel salotto buono della politica, contrariamente a quanto stabilisce la nostra preziosa Costituzione che proprio in questi mesi si vuole “riformare”. Probabilmente l’Italia non è un Paese razzista ma in Italia ci sono molti razzisti che sempre più spesso si sentono legittimati e incoraggiati in molti modi e per molte ragioni… e magari si offendono anche se li chiami razzisti e fascisti. Sono quelli che aggiungono sempre il “ma”: “non sono razzista, ma…”.

Scriveva Antonio Gramsci, nel 1921, “il fascismo si è presentato come l’anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano”. Allora l’indifferenza – per riprendere ancora un tema molto caro a Gramsci – dei molti portò alla sopraffazione e alla violenza: in quegli anni, per molti motivi, gli italiani non riuscirono ad opporsi prontamente ad un’idea sbagliata e ci vollero venti anni ed una guerra per sconfiggere il fascismo. Quel fantasma si aggira di nuovo nelle nostre strade, di nuovo legittimato, di nuovo con tanta tolleranza e qualche strizzatina d’occhio da parte di molti che lasciano fare, che, anche loro, ce l’hanno con gli immigrati anche se non sono razzisti!

Da sociologo posso anche capire: il nostro Paese continua ad essere quello che in Europa spende meno in istruzione (dati Eurydice), che ha il più alto numero di Neet (dati Ocse), di analfabeti funzionali e di ritorno (ancora dati Ocse); rimane un Paese dove, anche se si scrive molto, si legge pochissimo (dati Istat), dove l’informazione è scadente (nel 2015 l’Italia si è collocata al 77° posto nella graduatoria sulla libertà di stampa stilata da Reporters sans frontières). Ancora: è un Paese che tra paure vere o presunte (dati Eurobarometro) e povertà concrete (dati Eurostat) se la passa piuttosto male. Se poi ci aggiungiamo che l’Italia si colloca nella 61° posizione nella classifica stilata da Tansparency International sulla percezione della corruzione possiamo capire quanto sia drammatica la nostra situazione e perché in tanti sono pronti a rimettere in discussione questo modello di società che oggi produce benefici a pochi a discapito di una grande moltitudine.

Ma da uomo libero e democratico non posso accettare: razzisti e fascisti sono fuori da questa società, non dobbiamo lasciargli spazi né fuori né dentro la politica, né fuori né dentro le istituzioni, né fuori né dentro il dibattito pubblico.  Questo è un Paese dove ormai vivono oltre 5milioni di stranieri e dove, per tanti motivi, ne arriveranno altri; è anche un Paese dove sempre più giovani italiani saranno di pelle nera, anzi, per le note dinamiche demografiche sono proprio questi giovani a rappresentare una ricchezza in un Paese di vecchi, con un bassissimo tasso di natalità.

Se lasceremo oggi, per pigrizia, per indifferenza,  spazio al razzismo e al fascismo, domani arriveranno tempi bui. Ecco perché io li odio.