logo_firenzeChe noia, che barba… il solito tiro al piccione, l’ondata di critiche che parte immediatamente sui social, sui siti di informazione e poi sui giornali ogni volta che una città – stavolta è Firenze – presenta il proprio marchio da utilizzare a fini turistici. Che noia, che barba… la solita cartellina in .pdf preparata dallo studio grafico, sempre tecnicamente impeccabile, con il logo a colori, in bianco nero, declinato su gadget, magliette, borse. Ogni volta il solito copione banale di opinioni: il logo è brutto, è banale, non è all’altezza di una città così bella, anche io l’avrei saputo fare meglio. Oppure, al contrario: è bello, è pulito, è innovativo.

E poi arriva – inesorabile e inevitabile – il paragone con il logo di New York, I Love NY (quello con il cuore, per intenderci), soprattutto perché è l’unico che tutti conoscono. Un logo turistico di una città o di un paese (come il sole di Mirò adottato dalla Spagna, anche qui per citare il caso più famoso) non va giudicato se è bello o brutto. Ma se funziona o non funziona. E il successo dipende non dalla qualità estetica, ma dal lavoro di promozione del marchio che verrà fatto negli anni. Ma ahimè, il progetto di diffusione del marchio, a livello mondiale e in città, non viene mai presentato, perché fare un progetto di comunicazione, promozione ed organizzazione della città, legato a quel logo – si chiama, in sintesi, politica di destinazione turistica – è un lavoro complicato e costoso, che va condiviso fra amministratori ed operatori, sotto la guida di un team di esperti. I love NY non è né bello, né brutto: è un marchio che funziona, perché è stato fatto un ottimo lavoro, per tanti anni di seguito, abbinando la promozione a profondi cambiamenti nella città. E lo stesso si può dire di I AMsterdam per fare un altro esempio di successo.

Conclusione: il giudizio sul logo di Firenze va dato non dopo cinque minuti, ma fra cinque anni, quando avremo visto se sarà stato promosso e comunicato bene oppure no.