«Non c’è alternativa a Matteo Renzi». Pare sia stato questo il virgolettato dell’ultima intervista rilasciata da Umberto Eco al quotidiano francese Les Echos. Lo riferisce stamani Il Fatto Quotidiano. «Non c’è alternativa». Anche il grande umanista, filosofo, semiologo e scrittore, di cui in questi giorni tutti piangiamo la scomparsa, si era arreso all’ineluttabile, al destino che ha posto il Paese di fronte alla fine del vicolo cieco. Cul de sac della democrazia.
Francamente mi ha sorpreso che proprio un grande letterato, simbolo esso stesso della cultura e del pensiero europeo, all’ultimo si fosse arreso al destino cinico che pone l’intero Paese di fronte ad un bivio con una strada sola. «Non c’è alternativa».
Ho sempre pensato che l’alternativa non c’è di fronte alla morte, che non si può vincere nonostante i progressi della medicina; non c’è di fronte al sorgere del sole e al suo tramontare, nonostante l’uomo faccia di tutto per distruggere la Natura. Non c’è alternativa alla primavera, anche se taglieranno tutti i fiori, come scriveva Neruda.
Come si può convintamente sostenere che ad un uomo, ad un sol uomo, non c’è alternativa? Dopo immani tragedie l’uomo ha trovato un’alternativa perfino al super-uomo nietzschiano, sopravvivendo ad esso. E noi, italiani del XXI secolo, moderni, tecnologici, progrediti, non abbiamo alternativa a Matteo Renzi? Chissà se il professore si rese conto delle conclusioni cui si poteva trarre dalla sua affermazione così apodittica.
Non c’è alternativa a Renzi, così come non c’è alternativa alla fame nel mondo, alle ondate di migranti, alla crisi finanziaria che ci affligge da anni, ad una Clinton alla presidenza Usa dopo Clinton presidente. È talmente unica la via a Renzi che non è stato nemmeno necessario votarlo. E, infatti, il nostro premier governa l’Italia grazie al voto di circa due milioni di iscritti e non iscritti al Pd nelle primarie del 2013, quasi fossero sostitutive del voto popolare, democratico e legale.
Del resto «non c’è alternativa a Renzi» come non c’è alternativa al Partito Democratico, oggi unico partito a mantenere una qualche apparente forma di partecipazione democratica in Italia. Poco conta se molte di quelle tessere hanno un vago sapore di antico, «fatte da un’unica carta di credito», come dichiarato domenica scorsa dallo stesso segretario del Pd all’assemblea nazionale. «Non è possibile – ha detto riscuotendo in verità pochi applausi e molto imbarazzo – che al Pd si iscrivano in blocco 400 persone con una carta di credito. Non è giusto, non è lecito, non è legittimo».
In quelle stesse ore il segretario provinciale di Siena del Pd, Silvana Micheli, annunciava soddisfatta di aver consegnato 5.700 tessere. «Risultato superiore alle aspettative», ha detto, omettendo di fare un confronto con l’anno precedente quando le tessere, andiamo a memoria, furono quasi 7.000, con un calo del 17%, su un numero che già era diminuito rispetto agli anni passati. Se non sbagliamo i conti si tratta di una media di circa 158 iscritti per ogni Comune della provincia senese (compresa Siena). È vero che gli altri partiti non fanno quasi più tessere ma 158 tesserati di media nel vostro Comune vi sembrano un risultato superiore alle aspettative? E veramente nelle nostre terre che contano 207mila aventi diritto al voto non c’è alternativa ad un partito che con i tesserati rappresenta il 2% scarso e il 32% se si considerano i votanti alle ultime Politiche del 2013?
Non c’è alternativa finché non la vogliamo vedere, non la cerchiamo, non ci adoperiamo per costruirla, darle forza, renderla credibile. Non c’è alternativa finché la maggioranza delle persone non si coalizza e individua un altro paradigma su cui fondare il proprio stare insieme.
Prendiamo Siena. Da tempo la città sembra caduta in uno stato di trance e impotenza psicologica. Di fronte a tutto che si sgretola si ha la sensazione che si stia ad aspettare (e guardare) che tutto crolli. Mentre solo in pochi provano a reagire. Gli psicologi chiamano resilienza quella capacità che ha l’uomo di adattarsi ad eventi tramutarci e negativi. A Siena questa capacità che determina la sopravvivenza della specie sembra totalmente assente.
«Non c’è alternativa», dice Umberto Eco. Come se ancora vivessimo dentro il sogno trasformato in incubo e chiudessimo gli occhi per non voler vedere la luce del giorno. Oggi però c’è una notizia che fa sperare. In seguito alle recenti disgrazie della Mens Sana, qualcuno sta provando a creare una sorta di azionariato popolare per far risorgere il glorioso basket senese dalle sue ceneri. C’è un progetto, c’è un’idea buona, ci sono i precedenti di successo (Varese e Trento). Bisogna capire se ci sono i senesi, gli imprenditori e i cittadini, gli appassionati e gli ex giocatori. Alcuni segnali sono incoraggianti.
Anche da questo impegno, sono convinto, si può iniziare a costruire un’alternativa, intanto ad uno sport diverso e poi, chissà ad un’altra città, ad un altro modo di intendere la rappresentanza. E chissà magari il professor Eco, che amava Siena, tra qualche tempo, da lassù, potrà farci sapere che un’alternativa c’era.
Ah, s’io fosse fuoco