Non c’è il suono delle chiarine fino all'”Irruzione” della Banda Città del Palio poco dopo le 19, non si diffonde l’eco dei canti di contrada e non si ode in lontananza il nitrito di un cavallo o lo sbatter dei suoi zoccoli ferrati sulla pietra serena; non c’è l’anello di tufo e non ci sono i palchi, non ci sono i fazzoletti sui colonnini e restano sole le bandiere inermi alle trifore del palazzo pubblico. Non ci saranno i silenzi e le urla, i giubili e i pianti, gli abbracci e le corse. Siena e la sua Piazza del Campo non credono a questo 2 luglio surreale senza Palio; non succedeva da 76 anni e in quel lontano 1944 fu la seconda guerra mondiale a bloccare la festa della città e dei suoi 17 popoli di contrada. Oggi ad imporre lo stop è stato il coronavirus dopo la decisione di maggio di comune accordo tra sindaco e capitani delle contrade a seguito delle disposizioni del Governo sulla sicurezza.
Ai tavoli del bar all’imbocco della temibile curva del Casato siedono pochi proprietari di cavalli, ‘cavallai’ come li chiamano a Siena, e si raccontano vicendevolmente con parole malinconiche i ricordi in bianco e nero dei Palii passati per non arrendersi alla verità di un’emozione che non ci sarà. «Tutto questo è surreale, non si capisce il momento che stiamo vivendo, noi siamo abituati a festeggiare il nostro compleanno 2 volte all’anno: il 2 luglio e il 16 agosto» confida uno di loro. «Quando qualcosa viene a mancare forse ti rendi conto solo in quel momento quanto è importante e qual è il suo vero valore» dice il decano dei capitani di contrada, Paolo Capelli. Parole che risuonano come una dichiarazione di amore, il profondo sentimento e la viscerale gelosia dei senesi per la loro festa e per la loro identità.
Nelle 17 contrade i popoli si sono ritrovati per stringersi attorno a quei colori e a quei simboli impressi sulle bandiere e sulle monture e per ‘esplodere’ un applauso, fragoroso e mesto al contempo, al termine di quella sbandierata che sarebbe dovuta tenersi sul tufo di piazza del Campo qualche attimo prima dell’uscita dei cavalli dall’entrone di palazzo pubblico.
«Oggi ci doveva essere l’agonismo, la condivisione, la comunità. Invece oggi c’è questa sospensione del tempo che ci fa riflettere su tutti i nostri ieri, ma con una consapevolezza: mai più questo deserto» ha scritto il sindaco Luigi De Mossi sul suo profilo facebook.
Oggi, in quella Piazza del Campo deserta, nel cuore di una città orfana della sua festa e della sua identità, un bambino ha portato i suoi barberi, le 17 palline di legno delle contrade con cui giocano tutti i suoi coetanei ed hanno giocato tutti i suoi nonni. Li ha lasciati davanti all’entrone del palazzo pubblico insieme ad una manciata di tufo ed una scritta “Non prendeteli, sono di tutti”. In quella manciata di tufo quei 17 barberi ricordano le parole dello storico cronista del Palio Silvio Gigli: “E Siena trionfa immortale”.
Anche nel suo giorno più surreale.