Anche a Siena il nuovo avanza, ma a piccoli passi. Chi si aspettava una rivoluzione culturale deve rimettere le bandiere e rinunciare, disilluso, alla lunga marcia. La Città, dopo un anno di scandali politici, inchieste giudiziarie e bombardamenti mediatici, ha reagito impaurita al voto per il Comune. E non ha voluto osare né fare salti avventati nel vuoto. Ha deciso di andare avanti, ma di farlo “a modino”.

È vero, ha punito i partiti che rappresentavano quella continuità ideale col passato aggrovigliato e consociativo a sinistra (Pd, Sel e Riformisti) come a destra (Pdl, Fli, Lega nemmeno si sono presentati col proprio simbolo), ma non ha premiato né i nuovi né i nuovissimi. E così il Movimento 5 Stelle si è dovuto accontentare di un modesto 8,56%, neppure immaginato dai simpatizzanti grillini e dal candidato Michele Pinassi, che si erano illusi con la Lizza piena per ascoltare Beppe Grillo

Il messaggio che il corpo elettorale, nel suo insieme, ha voluto esprimere col voto è un «Andiamo avanti, ma con giudizio. Ma nessuno si azzardi a tornare indietro». «Non siamo ancora davanti al passaggio decisivo – commenta il professor Luca Verzichelli in queste colonne (leggi) -. E il percorso di rinnovamento della politica, pur necessario, è solo all’inizio». Ecco, a Siena forse siamo davvero in questa strana via di mezzo da cui indietro non si torna ma in avanti non riusciamo a capire cosa c’è.

Si spiega così il calo del Partito Democratico cui assistiamo elezione dopo elezione. Non un crollo né un tracollo, ma una costante erosione di voti che lo attesta oggi al 25,29% dei consensi, con appena 6.483 croci sul simbolo (nel 2011 al 38,49% erano state 11.723 croci, dunque meno 5240 in appena due anni). Se consideriamo che alle primarie del Pds del 1993 (tra Barzanti e Piccini) andarono a votare proprio in 6.000 possiamo dire che lo zoccolo duro a Siena è veramente ai minimi storici. Vent'anni fa erano seimila senesi che votavano alle primarie, domenica scorsa lo stesso numero ha votato nell'urna. Ci permettiamo, quindi, di suggerire a certi incauti dirigenti democratici di abbassare i toni della Vittoria, perché proprio non sembrano esserci motivi per festeggiare.

Tuttavia lo zoccolo duro c’è e resiste e tutti devono farci i conti, anche perché i valori e la cultura di cui è portatore sono molto radicati nell’elettorato e difficili da smantellare. Sembrano, invece, smantellate, o comunque sempre più marginali, a Siena le culture politiche di Sel e dei Socialisti che raccolgono appena il 5,15% e il 2,39%. Troppo poco, ormai, per essere considerati alleati utili alla battaglia elettorale. Paradossalmente sembrano quelli che hanno maggiormente pagato gli anni di governo a Siena, dove erano presenti seppure mai in posti chiave.

Ma l’ora sembra scoccata anche per Mauro Marzucchi, da anni la versione senese di Graziano Cioni (il vicesindaco-sceriffo della Firenze pre-Renzi), con la sua politica “ambulatoriale” del porta a porta. Ormai il suo consenso personale (dal 7,32% del 2011 al 4,86% di oggi) si sta erodendo sempre di più. Mentre non sembra mai nato feeling con la città per i promotori della lista 53100. Un risultato così marginale (1,62%) che francamente conferma come di questa operazione (pensata in altri tempi e con altri obiettivi) in pochi ne sentivano il bisogno.

Secondo le aspettative la prova di Laura Vigni che ottiene consensi a sinistra tra i duri e puri superando di poco il 10%, il suo gruppo molto omogeneo probabilmente non si scioglierà dopo le elezioni. E saprà dare del filo da torcere al futuro Sindaco. Chiunque sarà.

Rimane poi da decifrare il risultato ottenuto dalle forze che hanno sostenuto Eugenio Neri, il candidato che adesso avrà 15 giorni per battersi con Valentini. Anche in questo caso le forze politiche più tradizionali del centrodestra (sebbene in alcuni casi nascoste dietro il civismo) hanno ottenuto scarsi risultati, mentre a dare forza alla candidatura del cardiochirurgo è stato il civismo di "Siena rinasce" con il 4,25% e soprattutto di "Nero su bianco" che con l’8,17% ha conquistato il maggior numero di consiglieri.

Enrico Tucci (6,65%) e Marco Falorni (5,10%) hanno, invece, deciso di svolgere ruoli poco più che di testimonianza e pertanto gioiscono dei loro risultati, senza apparentemente preoccuparsi di incidere più di tanto. Anche se viene da pensare che se fossero rimasti con Neri (Falorni in particolare se n’era andato all’ultimo momento) forse le cose sarebbero andate diversamente in termini di consensi percentuali alla candidatura di Neri.

Dunque, la città ha scelto. Ed ha scelto di dare un segnale di moderato rinnovamento o di innovazione lenta, scegliete voi. Il 9,88% raccolto dalla lista “Siena Cambia” è, infatti, anche questo. Certamente il movimento che fa riferimento a Bruno Valentini ha pescato tra molti delusi del Pd ma ha preso anche voti da fuori, contribuendo a non far crollare a Siena il centrosinistra. In quel simbolo si sono riconosciuti tutti quei senesi che da mesi ormai hanno seguito la battaglia di rinnovamento all’interno del Pd ed hanno premiato la costanza e la tenacia di Valentini. Lo stesso vale per la lista di Eugenio Neri che non è riuscita fino in fondo ad indicare ai senesi una via alternativa in un momento storico tra i più bui nella storia della città.

Ci sarebbe poi da fare un discorso articolato sul voto disgiunto (molto consistente questa volta e con qualche ambiguità di fondo) e sulle preferenze date ai singoli candidati in lizza. Ma non è questo il tempo. Per adesso soffermiamoci al messaggio che Siena ha voluto dare. Ai due candidati rimasti in lizza la città ha detto di andare avanti ma di farlo con grande attenzione. Questi quindici giorni devono servire a Valentini e Neri per convincere Siena che osare di più è possibile. E che si può andare avanti, anzi si deve, ma con juicio.

Ah, s'io fosse fuoco